Una dimora
ottocentesca. Uno stile vittoriano. Un aspetto che incute timore, suscita
apprensione, una paura che quasi blocca. Il trillo del campanello risveglia
pensieri lugubri.
Il padrone di casa
è vanitoso, vibra di passione, emana fascino ed è misteriosamente ricco
sfondato. La moglie è bella, eterea, elegante, è incline all'oscuro. La prole:
una bambina, vivace, austera, perspicace, sguardo sardonico; un bambino, pingue
e sempre pronto a giocare. Una nonna dedita a preparare pozioni e intrugli. Uno
zio maldestro e timido, si diletta con gli esplosivi, straordinariamente
somigliante con Nosferatu. Un cugino ricoperto di peli. Un maggiordomo alto,
possente con una voce cavernosa e stentorea, barcolla, pare Frankenstein. È c'è
una mano che sbuca da una scatola. È la famiglia Addams.
A ideare questa
strana e particolare famiglia fu Charles Samuel Addams. Le prime vignette
fecero l'apparizione sul giornale “The New Yorker” nel 1938. I personaggi non
avevano un nome che furono assegnati quando il canale ABC decise di produrre
una serie televisiva che andò in onda a partire dal 18 settembre del 1964 fino
al 1966. Fu lo stesso Addams a scegliere i nomi: Gomez; Morticia; Mercoledì e
Pugsley; lo zio Fester; il cugino Itt; Lurch. Nei fumetti lo stile era
corrosivo, l'intento era mettere al pubblico ludibrio le ipocrisie del mondo borghese,
una critica corrosiva del moralismo figlio del pregiudizio. La serie tv
stemperava questi aspetti, edulcorandoli. Gli Addams sono solo in apparenza dei
“mostri”, hanno solo il torto di essere diversi rispetto al comune senso del
giudizio. Dipende con quale sguardo si intende osservarli. L'intento
dell'autore era quello di rappresentare temi importanti con leggerezza e
umorismo. Esorcizzare paure ancestrali, incitare a non fermarsi all'aspetto
estetico del cupo, del tetro e del macabro. Ogni impulso, ogni emozione ogni
sentimento ha un valore in sé, se è vero. Esiste il duale: non ci sono opposti,
non c'è il bianco e il nero, ma la vita ha bisogno di entrambi per poter
funzionare.
L'umorismo spinge a
una riflessione arguta, provoca un sorriso lieve rivolto alla comprensione
dell'altro. L'espressione umorismo nero fu coniata dal teorico surrealista
André Breton, per indicare un sottogenere della commedia e della satira e
trattava con cinismo e scetticismo un argomento definitivo come la morte. Fra
gli scrittori che utilizzavano questo stile: Mark Twain; Jonathan Swift; Luigi
Pirandello; Ambrose Bierce.
Scrive l'aforista
Enzo Raffaele: “L'unico senso della vita è il senso dell'umorismo”.