L'artista
è un creativo. Il tempo lo attraversa da iconoclasta. Lo smonta. Non
è conforme alla società e ai suoi dettami. Li mette in discussione
in maniera provocatoria. Non si tratta di un puro esercizio estetico.
Ma dietro c'è la visione. Il presupposto è che si può capovolgere
il punto di osservazione. L'ambizione etica, quando non è superbia
intellettuale, è quella di proporre degli sprazzi di significato.
Non la verità assoluta, che è inafferrabile, ma frammenti di quella
che gli umani chiamano: vita.
Gianfranco
Manfredi è un creativo. È stato ospite della “Art Gallery” di
Marco Lucchetti a Lugano.
Laureato
in filosofia ha, subito, realizzato che voleva essere un cantautore.
Erano gli anni Settanta. Il versante era quello dell'anarchia e del
situazionismo. Lo stile era sardonico, intendeva ridere della
liturgia della sinistra ufficiale. Era interessato alla libertà
quella collegata alla garanzia dei diritti e all'autonomia
riguardante i costumi e il modo di essere.
La
parola, la scrittura sono il suo orizzonte. Eccolo come
sceneggiatore. Approda alla Bonelli. Crea Magico Vento. È il western
rivisitato. Il racconto della frontiera, visto con lo sguardo dei
nativi americani. La riproposizione di un genere, ma in guisa
alternativa. Introduce l'elemento della spiritualità.
Scrive,
poi, storie per Dylan Dog. Il momento è particolare, l'ideatore
della serie, Tiziano Sclavi, divenuta popolarissima, un albo vendeva
circa 770 mila copie, voleva abbandonare.
E
arriva il culmine della sua carriera: Tex. Il mito intramontabile del
fumetto italiano. Si cimenta con una pubblicazione storica, che ha
appassionato intere generazioni. Un personaggio iconico e
leggendario.
Così risponde sul legame tra cultura e fumetto: “Il fumetto è una straordinaria forma di
comunicazione. Ho visto la cultura popolare, quella pop e infine
quella di massa. Ho assistito a molti mutamenti. Ho solo il rammarico
che la socializzazione sta scomparendo a scapito dell'atomizzazione”.