“Quello che sta fuori – a questo mondo ciascuno sta fuori rispetto agli
altri – trova una cosa sempre peggiore o migliore di quello che ci sta dentro”,
sosteneva lo scrittore tedesco Heinrich Böll, premio Nobel per la letteratura
esattamente mezzo secolo fa. A Bellinzona devono averlo preso alla lettera. La
fin qui altalenante stagione dell’ACB (dentro il campo) e quella che continua a
far discutere (fuori dal rettangolo verde) sono arrivate ad un punto di non
ritorno. La sconfitta rimediata domenica contro lo Sciaffusa (la quarta in nove
partite, ma soprattutto la terza al Comunale dopo le disfatte contro Stade
Losanna ed Aarau) ha lasciato degli strascichi pesanti come un macigno. I
Bellinzona Boys hanno contestato la dirigenza per come sta gestendo il club con
un lungo e duro comunicato e, soprattutto, con uno striscione appeso nella
gradinata sud che non è di certo passato inosservato a chi di dovere.
Il repentino allontanamento di mister Sesa dopo soli cinque match era stato
accolto dallo zoccolo duro della tifoseria con non pochi borbottii. Ma la causa
comune – l’amore per una squadra che finora ha sempre dato tutto – aveva
portato il popolo granata a soprassedere, almeno pubblicamente, fatta eccezione
per il messaggio appeso sulla passerella del bagno pubblico prima della sfida
contro lo Xamax. Ma il vaso, a quel periodo già praticamente colmo, ora è
traboccato. A tal punto che i Boys hanno azzardato un inquietante paragone con
l’esperienza targata Gabriele Giulini, ahinoi finita con il fallimento e la
ripartenza dal calcio regionale. Nessuno vuole rivivere quell’inferno, in
primis gli attuali vertici del club. La frattura però ora è evidente e,
speriamo, non insanabile. Cosa fare per ricucire lo strappo?
La prima risposta è banale, ma spesso è la soluzione più efficace: sedersi
tutto allo stesso tavolo, magari alla presenza anche di una delegazione del
Municipio. Guardarsi dritti negli occhi. Tifosi, Pablo Bentancur ed autorità
politiche. L’ACB è un patrimonio di tutti. E come tale va salvaguardato. Ognuno
dica quello che deve dire, senza peli sulla lingua. Dev’essere un confronto
franco, schietto, acceso. I tempi delle pacche sulle spalle e delle strette di
mano (il più delle volte finte come la neve a Las Vegas) è finito. Questa è una
partita che non deve vincere nessuno, perché il trionfo sarà tale solo se a
sorridere saranno sia gli uni sia gli altri. Secondariamente, per calmare la
piazza, bisogna scegliere una figura che possa svolgere il ruolo di mediatore fra
il manager peruviano e i tifosi. Buttiamo lì tre nomi: Renzo Bionda, Manuel
Rivera o Kubilay Türkyılmaz. Infine, terzo punto, occorre far compiere al club
un ulteriore, decisivo, passo verso la professionalizzazione. La gestione della
campagna abbonamenti e della prevendita dei biglietti per le partite, ad
esempio, non è stata e non è esente da pecche.
Prima della pausa per i Mondiali ci sono ancora quattro partite casalinghe.
Va ritrovato l’affetto del pubblico. Il Comunale deve tornare ad essere un catino
pronto ad accendersi di passione ed inespugnabile per gli avversari. Poi, a
fine novembre, si tireranno le (prime) somme. Non si getti alle ortiche una
stagione che, sportivamente parlando, può ancora regalare tanto all’ACB. Nel
prossimo mese e mezzo i granata devono però gettare le basi per un futuro
roseo. Dentro e fuori dal campo. La squadra della capitale deve dimostrarsi
tale. E per farlo ha bisogno come il pane del calore e dell’affetto della sua
gente.