Calcio
Ritorno a San Siro
Dove si parla del tifo e di una passione che non ammette spiegazioni plausibili
Pubblicato il 15.04.2024 06:30
di Angelo Lungo
Dove si situa il tifo per una squadra di calcio? Impossibile comunicarlo. Si tratta di una dimensione irrazionale. È un territorio misterioso, l'atmosfera è ancestrale. Il tempo si ferma, è immobile. Si rimane inerti, l'istante non è afferrato ma sospeso. La speranza è forte e poco importa del futuro. Si ritorna a San Siro, sono passati lustri. La gente dell'Inter freme: il prestigioso e storico titolo è vicino. La squadra è sbocciata all'improvviso, senza che nessuno se lo aspettasse, a tratti, nel corso della stagione, è stata pure bella. A Paradiso si respira un clima estivo, la direzione verso Milano è lastricata di promesse. Il rito si rinnova: che sollievo. Eccolo, in lontananza, il Giuseppe Meazza: è vetusto, financo superato, ma è maestoso. Lo stadio: un luogo senza età. Si sentono le sirene della polizia, sta arrivando il bus, l'interismo accoglie i suoi giocatori: avanti ancora un passo e tutto sarà compiuto. Il sole tramonta inesorabile e San Siro accende le sue luci. Via all'ingresso. Bloccato: il famigerato tornello, bisogna esibire il QR, rivolgo lo sguardo verso terra, la modernità ha vinto in maniera ineluttabile e definitiva. Il vecchio e colorato biglietto è un retaggio, una pastoia riposta nel dimenticatoio. Ma la sconfitta esistenziale è subitaneamente riscattata: ecco il prato verde, ecco il brusio dello stadio. Le luci che si accendono e si spengono sono uno spettacolo che non mi appartiene, un orpello senza significati. Si comincia. Vedo Nicolò Barella e penso a Nicola Berti; Calhanoglu batte l'angolo con il destro, Evaristo Beccalossi lo faceva con il sinistro; scappa Thuram in attacco, dove stoppava il pallone Alessandro “Spillo” Altobelli. Inzaghi e Ranieri sono sempre in piedi, il mister di un tempo immemore sedeva in panchina all'estremità e indossava un loden. Finisce. È pareggio: un risultato quasi sempre ritenuto ingiusto, si rimane nel limbo, non resta che aspettare, ancora una volta. Usciamo. Volgo lo sguardo verso lo stadio. Vorrei rimanere là. Chiudo e riapro gli occhi. Nessun pensiero. Nessuna elucubrazione. Daniel e Zarko quasi mi scuotono: ritorna alla realtà. Non c'è altro e non c'è un oltre, forse.