Carlo
Ancelotti non finisce di stupire, è ormai considerato
come un mito in panchina. È il tecnico delle 4 Champions e può
annoverare nella sua bacheca i 5 titoli dei principali campionati
europei. Flemmatico e impassibile la sua è una storia di un
apparente normale che oltrepassa l'ordinario e diventa unico. È un
iconoclasta silenzioso, poiché non compie rivoluzioni ma evoluzioni.
La sua forza è la versatilità, non si adatta ai tempi, li studia,
li analizza e li smonta. L'italiano ha uno stile impeccabile,
padroneggia le situazioni complicate, si pone come un atarassico. Per
cercare di capire se è arrabbiato bisogna scomodare il linguaggio
non verbale, Gianni Mura notava che quando è arrabbiato inarca il
sopracciglio destro. È ritenuto il mister della Champions. Il
maestro della competizione fluida e aleatoria. Dove, quando si arriva
a certi livelli, la differenza la fanno i dettagli e la capacità di
restare freddi. Non è né un conservatore né un innovatore. La sua
filosofia è chiara: non si focalizza su un sistema di gioco, non è
un integralista, ma adotta un sistema modellato sulle caratteristiche
dei giocatori. La causalità non lo destabilizza, la neutralizza e
poi procede spedito. Il trucco non è complicato: le partite vanno
indirizzate, seguendo lo spirito che aleggia su di esse, ma si deve
essere capaci di sentire. Il suo Real è passato, ha estromesso il
City, lo ha fatto difendendosi. Gli inglesi hanno attaccato come
sanno, aggredendo le fasce, cercando l'evanescente e inconcludente
Haaland. Nel calcio moderno difendersi è ritenuto quasi un reato. La
protezione della propria rete è considerata un attentato alla
bellezza. La sua tattica è stata quella di occupare gli spazi nella
propria metàcampo ed essere compatti. Niente di casuale, tutto
previsto. Ancelotti è stato una stratega straordinario. La squadra
gli crede e lo segue. E il Real si è consegnato a lui e alle sue
idee. È un condottiero carismatico e autorevole. E sa sempre quello
che fa.
(Foto
Keystone)