Chi
scrive lo ha visto giocare. Si era sul finire degli anni Ottanta. Il
palcoscenico era la Scala del calcio: San Siro e non poteva essere
altrimenti. L'Inter indossava la sua canonica e ortodossa casacca
nerazzurra; il Napoli vestiva la maglia bianca, con pantaloncini
azzurri. Lui era a centrocampo con il pallone tra i piedi, controllato dal suo
divino mancino, i suoi lo proteggevano, era il loro condottiero; di
fronte c'era la Beneamata dei tedeschi (Matthäus; Brehme;
Klinsmann). Maradona, sfera sempre ferma, fintava di andare a
sinistra e tutta l'Inter all'unisono si spostava su quel versante, fintava, poi,
di dirigersi a destra e tutta l'Inter simultaneamente seguiva, con apprensione, quel
movimento. Erano i tempi in cui calciatori sbucavano in tenuta
sportiva solo cinque minuti prima dell'inizio della partita. Ma
facevano un'entrata sul campo con la divisa sociale. Maradona sbucò
all'improvviso: riccioluto e vestito elegantemente. San Siro lo fischiò sonoramente
e dagli spalti gli lanciarono di tutto, tra cui arance e limoni. Lui prese un limone
e cominciò a palleggiare. Uno spettacolo, gli interisti lo
contestavano, ma ne capivano il suo genio e sapevano che mai più
avrebbero visto un giocatore di quel livello. E così è stato.
Maradona è un emblema assoluto del gioco, creava calcio, lo ideava,
lo pensava, eseguiva la giocata perfetta: apparentemente semplice,
eppure delicata e raffinata. È irraggiungibile e per fortuna. Tutto
quello che ruota attorno a lui è leggenda. Ognuno ne vuole un pezzo.
Tenere un'impronta del più forte di tutti i tempi. La notizia:
Maradona vinse un Pallone d'oro come migliore giocatore del Mondiale
del 1986. Fu rubato nel 1989, era custodito in una Banca di Napoli.
Per anni si pensava che fosse stato fuso. Fu ritrovato nel 2016. Una
perizia ha accertato che il trofeo è quello originale. Sarà messo
all'asta, il valore stimato è enorme: una cifra tra i 12 e 15
milioni. La famiglia ne reclama la proprietà e ha avviato un'azione
legale. Ma questa è un'altra storia. La storia di Maradona non
finirà mai di essere raccontata. E specie guardando il calcio
moderno: veloce; atletico; tattico; nessun dribbling; nessuna giocata
fantasiosa. L'artista del pallone non è contemplato, sarebbe un
sovversivo, un eretico, un iconoclasta. EL Pibe de Oro era tutto
questo e molto altro. L'argentino
è un campionissimo che non finirà mai. La sua grandezza oltrepassa
il tempo umano, dapprima lo sfida e poi lo sconfigge: poiché il suo
ricordo è fissato indelebile nell'immaginario collettivo. E la sua
cifra stilistica rimarrà inimitabile.
(Foto Keystone/Bieri)