Il
Mondiale del Qatar, deprimente e triste, dovrebbe essere solo un
ricordo, ma la storia serve se si assimilano le lezioni che
impartisce, altrimenti si ripropone non come tragedia ma come farsa.
Gli stadi mezzi vuoti, l'atmosfera inesistente dovrebbero essere un
monito: mai più. Mondiali ed Europei hanno bisogno del pubblico. Il
calcio senza tifosi che affollano l'impianto non esiste, è un
involucro vuoto, una forma senza sostanza, non è un mero spettacolo
televisivo; ci deve essere un clima, quello della passione, necessita
di una spinta emotiva che deve venire dagli spalti e sospingere i
calciatori. Questo si chiama rito: dove la parola popolo prende
forma, l'individuo si sente partecipe di una comunità, e partecipa
anche manifestando parte di sé stesso. Certo che si tratta solo di
un gioco, ma derubricarlo a mera manifestazione ludica è fuorviante.
Tentare di depotenziarlo non consente di cogliere aspetti e risvolti
che vanno dalla sociologia e arrivano all'antropologia. Siamo solo
all'inizio, ma in termini di pubblico l'Europeo tedesco è un
successo autentico. Era lunedì, si giocava alle tre, si affrontavano
Romania e Ucraina, l'Allianz Arena di Monaco era piena, uno spettacolo di colori
e tifo. La posizione delle Germania al centro del Continente è
strategica, il paese è facilmente raggiungibile. Rimane il dato:
tutti vogliono esserci, tutti vogliono assistere. Il sostegno alle
Nazionali è garantito. Certo comandano le televisioni, pagano i
diritti, gli incassi da botteghino sono una parte risibile dei
ricavi. Ma una partita senza spettatori snatura in maniera decisiva
l'evento, lo fa evaporare. Tutto questo farà riflettere Fifa, Uefa e
club? Dovrebbe. Nonostante l'epoca inciti alle passioni tristi, cos'è
un essere umano privato della speranza?
(Nella foto Keystone, l'austriaco Sabitzer parla con i suoi tifosi)