L'Italia
ha sperato, almeno quello, e alla fine se l'è cavata. Quando tutto
sembrava finito, quando la seconda sconfitta in tre partite si stava
materializzando, Zaccagni ha salvato il salvabile. Il laziale ha
tirato fuori dal suo repertorio un tiro a giro, e il Belpaese ha
tirato un sospiro di sollievo. La Croazia descritta come imbolsita e
lisa era in vantaggio e stava vincendo con le pochi armi a sua
disposizione. Ma è stata beffata all'ultimo. La classica azione
disperata ha portato al pareggio degli Azzurri. Della partita oltre a
un agonismo normale e al consueto pathos c'è poco da segnalare. La
Nazionale rappresenta l'emblema della crisi dell'intero movimento
calcistico. Una crisi profonda che è destinata a continuare. In
Italia mancano talenti, coraggio e programmazione. Le istituzioni
sono assenti, poco propense a progettare, sono interessate alla loro
lucrosa “rendita di posizione”. Le recenti finali nelle
competizioni europee non fanno testo e hanno ingannato e illuso. La
realtà racconta di una Nazionale senza identità tattica e solo
sufficiente da un punto di vista tecnico. Nelle condizioni di
difficoltà l'idea è stata quella di affidarsi al “cavaliere bianco”.
Il salvatore della patria è stato individuato in Luciano Spalletti.
Lui, esaltato dal ruolo, ha cercato di mobilitare l'ambiente, ma è
il primo, ad essere consapevole che il livello è modesto. E ha
commesso un grande errore, figlio del suo ego: vuole essere un
allenatore, ma dovrebbe fare il selezionatore, inventare poco e
restaurare un antico sistema di gioco. Il resto è evidente, l'Italia
ha solo tre giocatori di statura europea: Donnarumma; Bastoni;
Barella. Non resta che prendersi la qualificazione e affidarsi
all'incertezza della sfida secca. E ripartire dal passato: difesa e
contropiede. E speculare sull'errore dell'avversario.
(Foto Keystone)