Piove, fa freddo,
è agosto e alla partita mancano tre ore: c’è tutto per appassire di noia.
Neanche un’intervistina o una ragazza che passeggia, niente: alla SwissporArena
(che nome ziobono, che nome!) siamo solo noi transumanti del calcio, i
parlatori come me e i tuttofare come il John, un inglese aperto come un sole
sulla grigia Lucerna.
Il John è il
nostro tecnico, ma non chiedetemi dettagli, non ne so niente del mistero di una
partita che entra dentro una telecamera, attraversa alberi infiniti e soffitti
viola costellati di bottoni e lucine per giungere infine nelle case dove non
sempre la domenica c’è vita oltre al calcio alla tivù. Non ne so niente, io
parlo dentro a un microfono che nasconde lo stesso mistero delle immagini e
porta la voce nell’iperspazio e magari non mi ascolta nessuno, ma non lo saprò
mai. Ma il John sa tutto, invece, sembra circonfuso da un’aura intrecciata dai
miliardi di fili che si dipanano con i colori dell’Arsenal, fino sul Rigi,
credo.
Prova e regola i
microfoni, e peccato che le sue parole non vadano in diretta. Si mette la mia
cuffia, si collega con la regia e con voce da telecronista d’antan va via
impetuoso: “Guten Tag, heute maccaroni e garibaldi, bla bla, Charlie George!
Gooool!!! Italia zero, der beste Spieler und der beste Kommentator. Inzaghi!
Pizza!”.
Poi si toglie la
cuffia e mentre ci rotoliamo dalle risate, tanto non ci vede nessuno, alza il
pollice e spara un The best! al mondo intero.
Fa la stessa cosa
con la postazione francofona: “Bonjour, ça plan pour moi, obladì obladà! Oui,
c’est but!!! French dressing and champagne. Johnny Halliday, man of the match!
Coi germanofoni
sta schiscio e dice cose normali, ma facendomi gesti col pollice sottobanco che
con quelli non si scherza.
Vico Rigassi
scansati, arriva il John.