CALCIO
"Murat Yakin è un tipo alla... Ferguson"
Kubilay Türkyilmaz ci parla del suo amico allenatore della Nazionale, che stasera affronta l'Italia
Pubblicato il 05.09.2021 08:10
di Luca Sciarini
Sono amici dal lontano 1995, quando si incontrarono per la prima volta in un allenamento del Grasshopper. La scintilla scoccò subito e tra Kubilay Türkyilmaz e Murat Yakin fu amicizia a prima vista.
Kubi aveva 29 anni, era nel pieno della sua carriera, Murat era invece un 22.enne di belle speranze che militava nelle cavallette già da tre anni.
I due, pur percorrendo strade diverse nella vita, non si sono mai persi di vista.
Grandi giocatori che hanno scritto pagine importanti del calcio svizzero. Kubi il bomber per antonomasia, Murat un regista. Sia di centrocampo che difensivo. Con una cosa in comune: la forte personalità. Qualcosa che in uno spogliatoio si riconosce subito e che può portare dal grande rispetto all’amicizia.
Kubi, com’è stato il vostro primo incontro?
“Andai in campo per il primo allenamento con la maglia del Grasshopper e Murat era già lì. Ero curioso di conoscerlo perché sapevo che anche lui aveva radici turche e che parlavamo la stessa lingua”.
È subito scattato un feeling tra di voi.
“Assolutamente sì. Il nostro rapporto è stato subito molto forte, anche per via della lingua e della cultura che ci accomunavano. Eravamo due ragazzi che parlavano e ascoltavano musica turca, anche nello spogliatoio. Siamo riusciti addirittura a farla mettere durante una partita dopo i nostri gol”.
Dal rapporto in campo a fuori dal campo il passo è breve.
“Ci vedevamo spesso per mangiare assieme, anche con la sua famiglia. Ho conosciuto bene sua mamma e i suoi fratelli, che abitavano a Basilea ma venivano spesso a Zurigo a trovare Murat. Andavamo a mangiare tutti assieme in un ristorante turco. Sono stati dei bellissimi momenti che ricordo ancora adesso con piacere”.
Un rapporto che dura tutt’ora.
“Ci sentiamo ancora, mi piace chiamare sua mamma, mi sembra di parlare con la mia. Anche mia mamma andava sempre in tribuna e se la prendeva con chi mi criticava. Faceva così anche quella di Murat e ogni tanto so che in tribuna litigava con qualcuno: non accettava che criticassero i suoi figli o il sottoscritto”.
Che calciatore era Murat?
“Giocava da numero sei, ossia da regista di centrocampo. Nonostante fosse ancora molto giovane ricopriva quel ruolo con grande personalità. Anche lui come me era cresciuto molto velocemente visto la particolare situazione famigliare che aveva dovuto affrontare. In quegli anni al Grasshopper Christian Gross lo spostò poi al centro della difesa, poiché con il suo piede preciso sapeva innescare gli attaccanti. Era un gioco che piaceva al nostro allenatore e che Murat interpretava perfettamente”.
Non era però velocissimo, vero?
“È così, però sapeva supplire a questa carenza con un incredibile senso della posizione. È stato uno de giocatori tatticamente più forti che abbia conosciuto. Mi ricordava Ronald Koeman, un altro difensore non proprio velocissimo che però nella mia vita non ero mai riuscito a dribblare. Oltretutto Murat in campo ostentava una calma da veterano e questo lo percepivamo anche noi compagni”.
Ma tu Murat lo dribblavi in allenamento?
“Io sì, e poi lo prendevo in giro…”.
Che tipo era nello spogliatoio?
“Lui parlava tedesco e riusciva a fungere da collante tra la parte svizzera e quella latina dello spogliatoio. Nonostante fosse giovane lo ascoltavano tutti. Era stato portato direttamente dal nostro direttore sportivo Vogel, che credeva molto in Murat e anche per quello fu rispettato sin dal principio”.
Come valuti la sua carriera da giocatore?
“Sono convinto che avrebbe potuto fare di più ma quando è andato all’estero non si è mai veramente imposto. Il motivo non lo so, un giorno vorrei chiederglielo. Lui però è uno che ama avere tutto sotto controllo e forse lontano da casa non ci è mai veramente riuscito”.
Che tipo di allenatore è?
“È uno che ama entrare nella testa dei giocatori, il classico psicologo. Fa rendere al massimo ogni elemento a sua disposizione. È anche piuttosto duro, ti dice le cose in faccia e nel contempo risulta piuttosto riflessivo. Diciamo che non sono per niente sorpreso della carriera che ha fatto da allenatore”.
È l’uomo giusto per la nazionale svizzera?
“Credo che sia l’uomo ideale in questo momento. Parla la lingua, ha vissuto una lunga carriera in nazionale, sa come la pensano i giocatori di seconda generazione e molti di loro li ha già allenati a Basilea. Direi che è il profilo perfetto per questa nazionale”.
Non ha apportato molte modifiche per quanto riguarda la prima convocazione.
“Credo che abbia fatto molto bene, non ha voluto stravolgere il gruppo che lavora assieme da parecchi anni. Sta ancora valutando il materiale a disposizione e quando sarà pronto dovremo aspettarci delle scelte anche drastiche. Con il tempo sembrerà sempre di più a un manager inglese, uno alla Ferguson tanto per intenderci, che ama prendersi a carico le responsabilità non solo sportive”.
Cosa ti aspetti dalla sua avventura in nazionale? Mercoledì è partito con una vittoria sulla Grecia.
“Nel calcio come nella vita ci vuole sempre un po’ di fortuna. Con il tempo saprà senza dubbio farci fare quel clic che tutti ci aspettiamo”.
Hai visto qualcosa di diverso contro i greci?
“Mi è sembrato di notare una squadra mentalmente più libera, meno ingabbiata negli schemi che aveva inculcato Petkovic dopo tanti anni. Le assenze? Stiamo parlando di giocatori importanti, ma da una parte potrebbe anche essere un fattore positivo: Murat tira sempre fuori il meglio da queste situazioni e i giocatori sanno che dispongono di un’occasione irripetibile”.
Stasera c’è Svizzera-Italia: partiamo battuti?
“Secondo me no, anche perché bisognerà capire con che atteggiamento arriverà l’Italia. Gli azzurri sono campioni d’Europa e ovviamente partono favoriti ma se non giocheranno con la testa giusta potrebbero  andare incontro a una brutta sorpresa. Io mi fido di Murat”.