L'altra domenica
Sul corpo un ricordo, un'emozione
Il tatuaggio tra moda ed espressione di un significato
Pubblicato il 07.09.2021 10:36
di Angelo Lungo
Nel romanzo “Storia di un corpo” Daniel Pennac scrive: “Più lo si analizza, questo corpo moderno, più lo si esibisce, meno esso esiste”.
Travolto dall'anelito di capire lo spirito del tempo visito la rassegna Ti-Tattoo, manifestazione che si è svolta a Lugano. Contatto l'organizzatrice, Katya Cavallini, un vulcano, una verace appassionata. Una sua frase mi colpisce: ci sono dei tatuatori che sono degli artisti. Non replico. Non esprimo i miei dubbi. Non voglio essere superficiale. Decido di capovolgere il punto di osservazione. Apriti: mi dico.
Studio. E sul tatuaggio scopro: che le origini sono riconducibili ai primi uomini, vissuti oltre 5300 anni fa. Si sviluppò in Egitto e anche nell'antica Roma. Lo vietò l'imperatore Costantino quando si convertì al Cristianesimo. La sua diffusione fu planetaria: con la caratteristica che ogni popolazione ne aveva simboli e significati precipui. Nel 1769 il Capitano inglese James Cook approdò a Tahiti. Osservando le usanze degli indigeni trascrisse la parola Tattow (poi Tattoo), derivata dal locale “tautau”, una forma onomatopeica: riproduceva il rumore prodotto dal picchettare del legno sull'ago utilizzato per bucare la pelle.
È domenica: mi lascio trasportare e mi aspetto di entrare in un mondo. Due domande mi assillano: Perché ci si tatua? Chi sono i tatuatori?
Tony, tatuatore di 40 anni, viene dall'Italia, è a capo di “Cattivi Maestri”. L'idea del nome gliela diede un suo amico, quando gli disse: che era il migliore alunno dei peggiori e cattivi maestri. Il tatuaggio è il suo destino: è identità, passione, estetica non fine a se stessa. Sottolinea che ci si tatua per imprimere sulla pelle un ricordo che ha una valenza affettiva. Eppure non lesina critiche: per molti è moda e basta. Mi conferma che i limiti possono essere superati: l'ego che tracima.
Flavia, 37 anni, ha lo studio a Biasca. È solare. Empatica. Sente il suo lavoro come un arricchimento interiore. Si emoziona sempre. È immersa nella sua professione. Annovera clienti che vanno dal sedicenne alla settantaseienne. Ascolta storie. Si sente coinvolta dai racconti di chi si chi vuole stampare sulla pelle un ricordo. Mi cattura. È evidente che vuole convincermi. Rimango saldo.
Parlo con Nicola, 27 anni di Locarno, e afferma: che si tatua per distinguersi, per mostrare un pezzo di stesso, perché vuole fare sapere chi è.
Giorgia, 21 anni è di Cugnasco, mi spiega che il tatuaggio la rappresenta. Anche lei mi ribadisce che è collegato a un ricordo che vuole sia indelebile. È attenta allo stile. E non si fermerà.
Io mi fermo. Voglio solo riportare. Nessuna pastoia. Nessun moralismo. Nessuna visione etica.
In sottofondo ascolto una canzone di Battiato e penso: credevo di incontrare un popolo, osservare una comunità, invece ho trovato...