CALCIO
Quando il Malmö faceva paura a tutti...
Gli svedesi, avversari della Juventus in Champions, hanno una bella storia da raccontare
Pubblicato il 14.09.2021 10:04
di Silvano Pulga
Monaco di Baviera, 30 maggio 1979, finale di Coppa dei Campioni Malmö- Nottingham Forest. Prima frazione: Robertson scatta sulla fascia di sinistra, supera Roland Andersson e crossa lungo sul palo lontano. In area, bel movimento obliquo di Trevor Francis da destra alle spalle di Ingemar Erlandsson: l'inglese si trova così smarcato e puntuale all'appuntamento con la sfera, che insacca con un facile colpo di testa ravvicinato, battendo Janne Möller. Sarà, questa, la rete che regalerà alla compagine guidata da Brian Clough la prima delle due Coppe Campioni della sua storia, ed è sinora il punto più alto mai raggiunto da una squadra svedese nella Coppa Campioni.
Ma la storia era iniziata un po' di tempo prima, con l'arrivo di Bob Houghton, figlio di un lavoratore portuale e sindacalista, sulla panchina del Malmö. Erano anni nei quali la città viveva un momento economico fiorente, caratterizzato dalla presenza di grandi cantieri industriali, specializzati nelle costruzioni navali. La squadra della città non è da meno: tra il 1965 e il 1977, i biancocelesti di Scania mettono assieme sette vittorie in campionato, tre secondi posti e quattro vittorie in Coppa di Svezia.
Houghton portò una nuova filosofia calcistica in Svezia, basata sull'organizzazione di gioco, sul pressing e sulla potenza atletica. Forza fisica e tecnica individuale devono essere messi al servizio del collettivo, che deve apparire agli avversari come privo di punti deboli, e dove tutti aiutano gli altri. Sono gli anni della grande Olanda, del Bayern di Monaco: squadre fortissime, con grandi fuoriclasse. La novità, la sfida è provare a creare un collettivo forte con elementi dal valore individuale sicuramente più basso dei fuoriclasse dell'Europa continentale.
L'enfasi di Houghton sul collettivo come elemento centrale si fonde perfettamente con l'ambiente sociale e culturale svedese dell'epoca. Eric Persson, il più grande dirigente della storia del club biancoceleste, intuisce le potenzialità dell'allenatore britannico e, dopo averlo messo sotto contratto, lo sprona a continuare sulla sua strada.
Per molti giocatori, l'incontro con Houghton non fu semplicissimo. "Maledetto inglese inesperto" fu il giudizio lapidario di Krister Kristensson, non proprio l'ultimo arrivato. Il tecnico sconvolse abitudini e metodi d'allenamento di una squadra che, in ogni caso, veniva da un periodo positivo di ottimi risultati sportivi in campo nazionale, e non riteneva quindi di dover cambiare le proprie abitudini. Dopo le prime resistenze, però, lo spogliatoio, che forse aveva perso un po' l'appetito, ritrova la voglia di fare calcio. Roy Andersson disse che fu un po' come iniziare a giocare a pallone una seconda volta, e Staffan Tapper parlò di una nuova dimensione di football.
Ma fu la stagione 1978-79 quella magica, con i semidilettanti svedesi che avanzano passo passo nella competizione regina: i francesi del Monaco, la Dinamo Kiev, il Wisla Cracovia e l'Austria Vienna sono le vittime degli scandinavi. Protagonisti, oltre all'allenatore, il team leader Egon "Todde" Jönsson e, in campo, giocatori come Krister Kristensson, Puskas Ljungberg, Staffan Tapper e Bosse Larsson. La finale in Germania Ovest sarà l'apoteosi di un gruppo arrivato al proprio livello massimo. L'anno successivo alla finale di Monaco, Houghton lascerà la Svezia per approdare in Grecia all'Ethnikos, chiudendo la propria esperienza in Scania con un secondo posto. Il ciclo del Malmö ormai si sta per chiudere, e il quinto posto in campionato sarà la pietra tombale su quegli anni fantastici, in corrispondenza anche dell'inizio del declino industriale della città capitale della Scania. Sarà un altro inglese, che approderà anche in Svizzera anni dopo, e cioè Roy Hodgson, nel 1985, a rinverdire i successi in Allsvenskan dei biancocelesti, con una nuova generazione di giocatori come Martin Dahlin, Jonas Thern, Stefan Schwarz, Roger Ljung e Patrik Andersson. Ma il miracolo del Malmö degli anni '70 resta irripetibile. In un libro, del 1979, intitolato "När Malmö FF var näst bäst i Europa" ("Quando il Malmö era il più forte d'Europa"), scritto da Matts Weman, si ipotizza che quella squadra incarnasse alcuni valori di allora del Paese: solidarietà collettiva e sforzi congiunti, che sono alcuni dei fondamenti del welfare state svedese, ancora in una fase di sviluppo ai tempi, e aiutato da una situazione economica favorevole, con le grandi industrie in piena espansione e un futuro economico della città che appariva roseo. Sembrerebbe così una coincidenza che in questo ambiente venga introdotto un modello di gioco con una forte enfasi sul collettivo, dove tutti si aiutano a vicenda, e dove ogni giocatore ha il sostegno e il supporto dei compagni nei momenti difficili. Forse un calcio sociademocratico? Chissà, si chiede Weman. Resta però una grande pagina di calcio, che è bello ricordare oggi, con i biancocelesti che tornano nella competizione regina.