Monaco di Baviera, 30 maggio 1979, finale di Coppa dei Campioni
Malmö- Nottingham Forest. Prima frazione: Robertson scatta sulla fascia di
sinistra, supera Roland Andersson e crossa lungo sul palo lontano. In area, bel
movimento obliquo di Trevor Francis da destra alle spalle di Ingemar
Erlandsson: l'inglese si trova così smarcato e puntuale all'appuntamento con la
sfera, che insacca con un facile colpo di testa ravvicinato, battendo Janne
Möller. Sarà, questa, la rete che regalerà alla compagine guidata da Brian
Clough la prima delle due Coppe Campioni della sua storia, ed è sinora il punto
più alto mai raggiunto da una squadra svedese nella Coppa Campioni.
Ma la storia era iniziata un po' di tempo prima, con l'arrivo di
Bob Houghton, figlio di un lavoratore portuale e sindacalista, sulla panchina
del Malmö. Erano anni nei quali la città viveva un momento economico fiorente,
caratterizzato dalla presenza di grandi cantieri industriali, specializzati
nelle costruzioni navali. La squadra della città non è da meno: tra il 1965 e
il 1977, i biancocelesti di Scania mettono assieme sette vittorie in
campionato, tre secondi posti e quattro vittorie in Coppa di Svezia.
Houghton portò una nuova filosofia calcistica in Svezia, basata
sull'organizzazione di gioco, sul pressing e sulla potenza atletica. Forza
fisica e tecnica individuale devono essere messi al servizio del collettivo,
che deve apparire agli avversari come privo di punti deboli, e dove tutti
aiutano gli altri. Sono gli anni della grande Olanda, del Bayern di Monaco:
squadre fortissime, con grandi fuoriclasse. La novità, la sfida è provare a
creare un collettivo forte con elementi dal valore individuale sicuramente più
basso dei fuoriclasse dell'Europa continentale.
L'enfasi di Houghton sul collettivo come elemento centrale si
fonde perfettamente con l'ambiente sociale e culturale svedese dell'epoca. Eric
Persson, il più grande dirigente della storia del club biancoceleste, intuisce
le potenzialità dell'allenatore britannico e, dopo averlo messo sotto contratto,
lo sprona a continuare sulla sua strada.
Per molti giocatori, l'incontro con Houghton non fu semplicissimo.
"Maledetto inglese inesperto" fu il giudizio lapidario di Krister
Kristensson, non proprio l'ultimo arrivato. Il tecnico sconvolse abitudini e
metodi d'allenamento di una squadra che, in ogni caso, veniva da un periodo
positivo di ottimi risultati sportivi in campo nazionale, e non riteneva quindi
di dover cambiare le proprie abitudini. Dopo le prime resistenze, però, lo
spogliatoio, che forse aveva perso un po' l'appetito, ritrova la voglia di fare
calcio. Roy Andersson disse che fu un po' come iniziare a giocare a pallone una
seconda volta, e Staffan Tapper parlò di una nuova dimensione di football.
Ma fu la stagione 1978-79 quella magica, con i semidilettanti
svedesi che avanzano passo passo nella competizione regina: i francesi del
Monaco, la Dinamo Kiev, il Wisla Cracovia e l'Austria Vienna sono le vittime
degli scandinavi. Protagonisti, oltre all'allenatore, il team leader Egon
"Todde" Jönsson e, in campo, giocatori come Krister Kristensson,
Puskas Ljungberg, Staffan Tapper e Bosse Larsson. La finale in Germania Ovest
sarà l'apoteosi di un gruppo arrivato al proprio livello massimo. L'anno
successivo alla finale di Monaco, Houghton lascerà la Svezia per approdare in
Grecia all'Ethnikos, chiudendo la propria esperienza in Scania con un secondo
posto. Il ciclo del Malmö ormai si sta per chiudere, e il quinto posto in
campionato sarà la pietra tombale su quegli anni fantastici, in corrispondenza anche
dell'inizio del declino industriale della città capitale della Scania. Sarà un
altro inglese, che approderà anche in Svizzera anni dopo, e cioè Roy Hodgson,
nel 1985, a rinverdire i successi in Allsvenskan dei biancocelesti, con una
nuova generazione di giocatori come Martin Dahlin, Jonas Thern, Stefan Schwarz,
Roger Ljung e Patrik Andersson. Ma il miracolo del Malmö degli anni '70 resta
irripetibile. In un libro, del 1979, intitolato "När Malmö FF var näst
bäst i Europa" ("Quando il Malmö era
il più forte d'Europa"), scritto da Matts Weman, si ipotizza
che quella squadra incarnasse alcuni valori di allora del Paese: solidarietà
collettiva e sforzi congiunti, che sono alcuni dei fondamenti del welfare state
svedese, ancora in una fase di sviluppo ai tempi, e aiutato da una situazione
economica favorevole, con le grandi industrie in piena espansione e un futuro
economico della città che appariva roseo. Sembrerebbe così una coincidenza che
in questo ambiente venga introdotto un modello di gioco con una forte enfasi
sul collettivo, dove tutti si aiutano a vicenda, e dove ogni giocatore ha il
sostegno e il supporto dei compagni nei momenti difficili. Forse un calcio
sociademocratico? Chissà, si chiede Weman. Resta però una grande pagina di
calcio, che è bello ricordare oggi, con i biancocelesti che tornano nella
competizione regina.