Olimpiadi 1960
La Città Eterna, un campione eterno
La storia di un grande uomo e uno straordinario sportivo
Pubblicato il 16.09.2021 11:24
di Angelo Lungo
L'atleta del terzo millennio è super controllato. Analisi attenta dei processi fisiologici, conoscenza dettagliata della composizione muscolare, alimentazione adattata alle peculiarità individuali. In una preparazione della maratona si deve prendere in considerazione la potenza, l'efficienza, l'affidabilità. Anche l'abbigliamento sportivo arriva a costituire un elemento importante per ottenere le “prestazioni”. Oggetto di dibattito sono le scarpe di nuova generazione: i nuovi modelli pare aumentino la capacità di imprimere la spinta in corsa dei top runner, per fabbricarle si è, addirittura, utilizzato il carbonio.
Correva l'anno 1960, si tenevano le Olimpiadi di Roma e nel mese di settembre si corse la maratona. Al via c'era Abebe Bikila, un etiope sconosciuto, e che si allenava da solo quattro anni sulla distanza. Si partì alle 17 e 30 ai piedi del Colosseo e l'arrivo fu fissato sotto l'arco di Costantino. Il tracciato si snodava in uno scenario da mozzare il fiato: Circo Massimo; Terme di Caracalla; Appia Antica; Mura Aureliane. Una corsa contro il tempo ma nel tempo, per le vie della Città Eterna con il suo splendore e la sua magnificenza. Bikila era un ufficiale della Guardia Imperiale del suo paese. Indossava una maglia verde e portava il numero undici. Favorito era un russo Sergej Popov. Pochi chilometri e prese la testa un quartetto, tra cui l'etiope. L'attacco decisivo lo sferrò sotto l'Obelisco di Axum, portato in Italia nel 1937 dall'esercito di Mussolini durante la guerra d'Etiopia. Bikila arrivò sul traguardo a braccia aperte, ottenendo un crono stratosferico per l'epoca: 2 ore 15 minuti e 16 secondi, era il nuovo record del mondo. Storia scritta, era il primo africano a vincere una medaglia olimpica.
Su lastroni e sanpietrini Bikila corse scalzo, senza calzature. Lo sponsor gli aveva fornito, alla vigilia, un paio di scarpe che non riuscì a indossare perché gli davano fastidio. Quattro anni dopo, a Tokyo, replicò il successo. Così il suo biografo, Tim Judah, descriveva i suoi piedi: “Le piante erano spesse e nere come il carbone. Le sfiorai con la mia mano: la pelle era così dura che sembrava il copertone di un camion militare. Ma nello stesso tempo era sensibilissima perché, appena gli toccai i piedi, Bikila si alzò di scatto dal letto e mi guardò sorpreso”.
Nel 1969 mentre guidava, nei pressi di Addis Abeba, ebbe un incidente e rimase paralizzato dalla vita in giù.
E proferì: “Gli uomini di successo incontrano la tragedia. È stato il volere di Dio se ho vinto le Olimpiadi, ed è stato il volere di Dio a farmi incontrare l'incidente. Ho accettato quelle vittorie come accetto questa tragedia. Devo accettare entrambe le circostanze come avvenimenti della vita e vivere felicemente”.