Nel buio della
strada che costeggia il Walensee, che non vedo, mi viene in mente il
commissario Matthäi di Dürenmatt che viaggia verso il suo personale
destino di follia. Ma poi, per un concatenamento al ribasso, arrivo alla follia
di Osimhen, attaccante del Napoli. Anche lui come Matthäi, crede a qualcosa in
cui non crede nessuno, solo che lui il suo cruccio personale lo risolverà, con
due gol al Leicester.
Deviato sulla cantonale con l’amico Ravani che invita alla
calma, passiamo da Walenstadt dove Grüninger, dopo aver salvato genti dalla
Seconda Guerra, ora dirige una fabbrica di qualcosa e ne ha fatto stampare il
nome sulla torre.
Già, la torre, anche così chiamano i centravanti.
Osimhen è un centravanti, come si diceva felicemente quando
il gioco era di un’altra epoca, mentre ora ci si diletta con definizioni quali
punta centrale, ogni tanto falso nueve se uno in area proprio non ci vuole
stare, addirittura boa (il galleggiante o il serpente?) se sta lì a fare il
palo di rimbalzo.
A Sargans, navigando nella notte liquida in cui galleggiano
capannoni e lampioni, sono al secondo gol dell’attaccante nigeriano, un colpo di
testa che sembra provenire dalla cima di una montagna.
Osimehn è un centravanti, ecco, quello che segna gol quando
nessuno ci pensa più. A Maienfeld, dove Heidi ha costruito l’autogrill, penso
al primo gol del centravanti del Napoli. Osimhen controlla una palla che
Insigne gli passa come dire “arrangiati”, ma gli resta in aria al primo tocco e
poi, senza farla cadere, appoggia un pallonetto, a quattro passi dalla porta e
in diagonale, che scavalca il portiere Schmeichel (alto due metri) e finisce in
gol.
Ecco, quasi a Coira, mi dico che è proprio lì che Osimhen ha
risolto la sua follia e Matthäi no. Fosse stato un centravanti, il commissario
di Dürenmatt avrebbe incastrato l’assassino come se fosse un qualsiasi
difensore del Leicester.
Della mia follia, non so dire.