VIGNETTE E CINEMA
Una famiglia stranamente normale: gli Addams
Umorismo significa ridere della verità
Pubblicato il 19.09.2021 09:25
di Angelo Lungo
Una dimora ottocentesca. Uno stile vittoriano. Un aspetto che incute timore, suscita apprensione, una paura che quasi blocca. Il trillo del campanello risveglia pensieri lugubri.
Il padrone di casa è vanitoso, vibra di passione, emana fascino ed è misteriosamente ricco sfondato. La moglie è bella, eterea, elegante, è incline all'oscuro. La prole: una bambina, vivace, austera, perspicace, sguardo sardonico; un bambino, pingue e sempre pronto a giocare. Una nonna dedita a preparare pozioni e intrugli. Uno zio maldestro e timido, si diletta con gli esplosivi, straordinariamente somigliante con Nosferatu. Un cugino ricoperto di peli. Un maggiordomo alto, possente con una voce cavernosa e stentorea, barcolla, pare Frankenstein. È c'è una mano che sbuca da una scatola. È la famiglia Addams.
A ideare questa strana e particolare famiglia fu Charles Samuel Addams. Le prime vignette fecero l'apparizione sul giornale “The New Yorker” nel 1938. I personaggi non avevano un nome che furono assegnati quando il canale ABC decise di produrre una serie televisiva che andò in onda a partire dal 18 settembre del 1964 fino al 1966. Fu lo stesso Addams a scegliere i nomi: Gomez; Morticia; Mercoledì e Pugsley; lo zio Fester; il cugino Itt; Lurch. Nei fumetti lo stile era corrosivo, l'intento era mettere al pubblico ludibrio le ipocrisie del mondo borghese, una critica corrosiva del moralismo figlio del pregiudizio. La serie tv stemperava questi aspetti, edulcorandoli. Gli Addams sono solo in apparenza dei “mostri”, hanno solo il torto di essere diversi rispetto al comune senso del giudizio. Dipende con quale sguardo si intende osservarli. L'intento dell'autore era quello di rappresentare temi importanti con leggerezza e umorismo. Esorcizzare paure ancestrali, incitare a non fermarsi all'aspetto estetico del cupo, del tetro e del macabro. Ogni impulso, ogni emozione ogni sentimento ha un valore in sé, se è vero. Esiste il duale: non ci sono opposti, non c'è il bianco e il nero, ma la vita ha bisogno di entrambi per poter funzionare.
L'umorismo spinge a una riflessione arguta, provoca un sorriso lieve rivolto alla comprensione dell'altro. L'espressione umorismo nero fu coniata dal teorico surrealista André Breton, per indicare un sottogenere della commedia e della satira e trattava con cinismo e scetticismo un argomento definitivo come la morte. Fra gli scrittori che utilizzavano questo stile: Mark Twain; Jonathan Swift; Luigi Pirandello; Ambrose Bierce.
Scrive l'aforista Enzo Raffaele: “L'unico senso della vita è il senso dell'umorismo”.