Carlos Santana con la chitarra e Steve Winwood, il bambino
d’oro, al canto hanno appena regalato al mondo una versione di A whiter shade
of pale, canzone che conoscono tutti gli abitanti del pianeta, ma che a questo
punto è forse irripetibile. Provate a sentirla mentre guardate Gavi che inventa
il ritmo di una partita e si vedrà che le cose sono sovrapposte e poggiano su
strati di talento che arrivano dal passato, dai Procol Harum dei folgoranti
anni Sessanta a Iniesta e Xavi dei tormentati Duemila che loro due hanno però
addolcito con il miele di un’arte sublime. Con Gavi, Barcellona, 17 anni appena
compiuti, si va nel futuro con un modo di giocare antico, e se non ci fosse
dietro talento e lavoro parrebbe una roba da strada, tanto è naturale.
Naturalmente (avverbio fuori posto, nella considerazione che
segue tutto è tranne che affidato alla natura) ci sono già di mezzo i mercanti,
che il Barcellona vuole tenere lontani con una clausola rescissoria da un
miliardo di euro, visto che i debiti, visto che Messi a parametro zero,
eccetera, e avanti con i disastri della moneta.
Gavi però, come le vergini di A whiter shade of pale, va
guardato per quello che è senza toccarlo, un ragazzo che copre di corse e
palleggi tutto l’immenso Camp Nou come ha fatto nella sera di San Siro che l’ha
visto sconfitto nel punteggio da una Francia che ne è stata però completamente
soggiogata.
Mi pareva di sentirla la chitarra di Santana, dalle note
allungate che all’improvviso si fanno sincopate, per poi aprirsi a un suono
vasto come l’universo, e l’aveva dentro anche Gavi, che magari nemmeno conosce il
grande Carlos, ma che facendo parte della cerchia ne inalava il respiro per poi
buttare fuori dai piedi tutto ciò che del calcio è la magia.
A sentire Santana, a vedere Gavi, viene proprio voglia di
andare avanti.