Che bella l’aquila,
simbolo di fierezza e libertà. Vola libera nei cieli, ma spesso l’uomo la piega
ai suoi scopi, tipo facendola volare in uno stadio prima delle partite. Le dà
anche nomignoli, l’uomo, per benevolenza o distinzione. La difficile
addomesticazione dell’aquila è un’arte e piegarla al modo di pensare dell’uomo
è necessario per entrare in simbiosi, per riuscire un giorno a farla volare e
poi tornare sulla mano guantata, docile e sempre fiera come il suo camerata
falconiere.
Alla Lazio, per
rendere vivo lo stemma del club, sono riusciti nella non facile impresa di
addomesticare un’aquila e farla volare sulle sue ali e su quelle della musica
prima di ogni partita casalinga. Un momento emozionante, forse anche per
l’aquila antropizzata a puntino. L’hanno chiamata Olympia, come il sito
archeologico che fu la sede degli antichi Giochi, o come se fosse la figlia e
la madre dell’Olimpico stesso, lo stadio di Roma.
Quando Olympia
ritorna sulla mano guantata e protesa del falconiere, dopo l’emozionante
planata su boschi di braccia tese, ha lo sguardo innocente e severo del suo
stesso padrone. E il padrone, con l’aquila aggrappata alla sua mano sinistra,
alza il braccio destro destra ritto e teso verso il pubblico, come se
attendesse un’altra aquila ancora in volo. È così coinvolgente quel braccio
alzato, così in intimità con l’animale, che anche l’aquila Olympia prova a
tendere un’ala, per simbiosi, per empatia.
A quel punto al
falconiere spagnolo assoldato dalla Lazio per quell’opera di fratellanza tra
uomo e animale, tra aquila e popolo, gli spuntano anche due lacrime sul volto
franco. Che fascino, che Ovra.