CALCIO
Il caso Piccolo e il grande problema di comunicare
Gli arbitri adesso vogliono parlare ma dovranno imparare a farlo
Pubblicato il 23.10.2021 21:56
di L.S:
Una settimana a parlare di un arbitro e del suo errore durante una partita di Super League.
Sembra di essere tornati indietro di anni.
Il calcio del VAR, che ha sicuramente contribuito a ridurre gli errori grossolani, continua a far discutere.
Sotto accusa ci sono ancora le giacchette nere, così come succedeva quando la tecnologia era qualcosa di sconosciuto.
In questi giorni le perplessità non sono legate esclusivamente alla prestazione di un arbitro, a cui può capitare di sbagliare, ma soprattutto al modo di comunicare di una categoria che non è mai stata abituata a farlo. O meglio, non aveva mai voluto.
Luca Piccolo, perché è di lui che stiamo parlando, è stato sospeso, anzi relegato in Challenge League. Era quello che era stato detto dalla Commissione arbitri della Federazione (o meglio dal suo presidente Girard), che aveva giudicato grossolano il suo errore in San Gallo-Servette. Un messaggio sorprendente, addirittura duro e inusuale per una categoria che aveva (quasi) sempre vissuto nel totale silenzio e che d’abrupto ha deciso di cambiare strategia nella comunicazione. Si vuole essere trasparenti e perciò si sceglie la strada del dialogo. Un bel passo avanti, senza dubbio. Auspicato da tempo.
Peccato, che non essendo abituati, si scivola nel caos più totale. Messaggi poco uniformi e contraddittori.
Infatti dalla paventata punizione si è passati a parlare di “protezione dell’arbitro” per finire con una “pausa di riflessione” o addirittura “normale avvicendamento”.
Insomma, se si vuol iniziare a comunicare, com’è auspicabile di questi tempi (senza per questo arrivare alla “perversione” di ascoltare i dialoghi tra VAR e arbitri), bisogna imparare a farlo al più presto.
Così da evitare che il prossimo caso Piccolo, diventi inutilmente grande e lungo.