Negli ultimi
giorni si è sentita troppo spesso la parola “disperazione” e, scusate la
franchezza, in modo del tutto inappropriato.
Ma davvero
le partite si possono vincere con la disperazione?
“Ci è mancata
un po’ di disperazione”, piuttosto che “E’ mancata la giusta disperazione”, per
poi finire con “Il sistema di gioco non è un problema, ma dobbiamo giocare con
più disperazione”
Ora, facciamo
un po’ di chiarezza insieme:
Disperazione:
stato d’animo di chi non ha più alcuna speranza ed è perciò oppresso da
inconsolabile sconforto e da grave abbattimento morale. (Cit. Treccani)
Stato d’animo
di chi non ha più alcuna speranza, di chi ha smesso di credere in
se stesso, nelle proprie capacità e, a questo punto aggiungerei, nella
propria squadra.
Perciò davvero
vogliamo credere che se aumentassimo il livello di disperazione si vedrebbe un
gioco, e soprattutto un risultato migliore?
Capisco le
interviste a caldo, capisco che quando si è presi o persi da mille pensieri ed
emozioni si possano utilizzare delle parole inappropriate ma forse bisognerebbe
cominciare a fare un’analisi tecnico tattica della partita prima di imbattersi
in un campo che non è di propria competenza.
E allora se ad
Ambrì c’è ancora tanto da lavorare, come giustamente rimarcato da Cereda fin
dalla prima di campionato, per riuscire a portare la squadra ad esprimersi come
gruppo pur potendo comunque contare sul talento dei singoli (Pestoni in
primis), a Lugano la situazione è un po’ differente.
Sì, perché la
visione di gioco sviluppata da McSorley fa decisamente fatica a prendere forma.
8 sconfitte su
11 partite giocate la dice tutta.
Perciò ora
vorrei porre io una domanda/considerazione provocatoria:
Quando un
allenatore è un buon leader?
Ora, per
rispondere alla domanda è necessario prima comprendere quale sia il compito
dell’allenatore, ovvero: dirigere, decidere, organizzare, pianificare,
istruire, formare, sviluppare, supportare, motivare, valutare.
E naturalmente,
il tutto, viene influenzato da quello che viene comunemente definito “stile di
leadership”, che a sua volta è correlato alle caratteristiche della personalità
e all’esperienza acquisita.
Infine, un
grande allenatore oltre che essere riconosciuto leader deve possedere la
capacità di creare lui stesso altri leader che in campo possano riprodurre le
idee, i valori ed il carattere.
E se questo non
avviene?
Ecco che allora
abbiamo un problema, perché un buon leader è colui che è in grado di modificare
il proprio stile di leadership, riuscendo a mettersi in discussione e ad
accettare che se quello specifico tipo di leadership non è funzionale, allora
potrà adottare a livello comportamentale altri stili al fine di raggiungere gli
obiettivi che si è posto per la squadra.
Motivo per cui,
a mio parere, un allenatore dovrebbe essere scelto a condurre una squadra, non
solo in funzione delle sue competenze tecniche, ma anche per il suo stile di
leadership poiché questo può risultare adatto ad una squadra con determinate
caratteristiche, ma totalmente inadatto per un’altra squadra con
caratteristiche differenti.
Attenzione, la
mia è una considerazione e non una critica, semplicemente mi sto chiedendo se
McSorley (malgrado la sua personalità ed esperienza) sia veramente la persona
giusta, nel posto e soprattutto al momento giusto.