SPORT E MENTE
Quando il "mentale" diventa un alibi
In questi giorni si è sentito parlare troppo di "disperazione", anche a sproposito
Pubblicato il 01.11.2021 09:03
di Fausto Donadelli
Negli ultimi giorni si è sentita troppo spesso la parola “disperazione” e, scusate la franchezza, in modo del tutto inappropriato.
Ma davvero le partite si possono vincere con la disperazione?
“Ci è mancata un po’ di disperazione”, piuttosto che “E’ mancata la giusta disperazione”, per poi finire con “Il sistema di gioco non è un problema, ma dobbiamo giocare con più disperazione”
Ora, facciamo un po’ di chiarezza insieme:
Disperazione: stato d’animo di chi non ha più alcuna speranza ed è perciò oppresso da inconsolabile sconforto e da grave abbattimento morale. (Cit. Treccani)
Stato d’animo di chi non ha più alcuna speranza, di chi ha smesso di credere in se stesso, nelle proprie capacità e, a questo punto aggiungerei, nella propria squadra.
Perciò davvero vogliamo credere che se aumentassimo il livello di disperazione si vedrebbe un gioco, e soprattutto un risultato migliore?
Capisco le interviste a caldo, capisco che quando si è presi o persi da mille pensieri ed emozioni si possano utilizzare delle parole inappropriate ma forse bisognerebbe cominciare a fare un’analisi tecnico tattica della partita prima di imbattersi in un campo che non è di propria competenza.
E allora se ad Ambrì c’è ancora tanto da lavorare, come giustamente rimarcato da Cereda fin dalla prima di campionato, per riuscire a portare la squadra ad esprimersi come gruppo pur potendo comunque contare sul talento dei singoli (Pestoni in primis), a Lugano la situazione è un po’ differente.
Sì, perché la visione di gioco sviluppata da McSorley fa decisamente fatica a prendere forma.
8 sconfitte su 11 partite giocate la dice tutta.
Perciò ora vorrei porre io una domanda/considerazione provocatoria:
Quando un allenatore è un buon leader?
Ora, per rispondere alla domanda è necessario prima comprendere quale sia il compito dell’allenatore, ovvero: dirigere, decidere, organizzare, pianificare, istruire, formare, sviluppare, supportare, motivare, valutare.
E naturalmente, il tutto, viene influenzato da quello che viene comunemente definito “stile di leadership”, che a sua volta è correlato alle caratteristiche della personalità e all’esperienza acquisita.
Infine, un grande allenatore oltre che essere riconosciuto leader deve possedere la capacità di creare lui stesso altri leader che in campo possano riprodurre le idee, i valori ed il carattere.
E se questo non avviene?
Ecco che allora abbiamo un problema, perché un buon leader è colui che è in grado di modificare il proprio stile di leadership, riuscendo a mettersi in discussione e ad accettare che se quello specifico tipo di leadership non è funzionale, allora potrà adottare a livello comportamentale altri stili al fine di raggiungere gli obiettivi che si è posto per la squadra.
Motivo per cui, a mio parere, un allenatore dovrebbe essere scelto a condurre una squadra, non solo in funzione delle sue competenze tecniche, ma anche per il suo stile di leadership poiché questo può risultare adatto ad una squadra con determinate caratteristiche, ma totalmente inadatto per un’altra squadra con caratteristiche differenti.
Attenzione, la mia è una considerazione e non una critica, semplicemente mi sto chiedendo se McSorley (malgrado la sua personalità ed esperienza) sia veramente la persona giusta, nel posto e soprattutto al momento giusto.