Calcio
"Sono un miracolato"
Toccante intervista all'ex Lugano, Bellinzona e Chiasso Michael Perrier
Pubblicato il 16.12.2021 14:54
di Carlo Scolozzi
Si può decidere di smettere di giocare a calcio per vari motivi: gli acciacchi dell'età che bussano alla porta, la mancanza di motivazioni o gravi motivi di salute. Quest'ultimo caso, purtroppo, è quello che riguarda il nostro intervistato, quel Michael Perrier che giocò nel Lugano, nel Bellinzona e nel Chiasso. In campo era un esterno che non si risparmiava mai, ma un tiro mancino del destino gli ha fatto dire basta.
"Ho 32 anni e in questi ultimi giorni ho maturato la decisione di smettere di giocare a calcio e di appendere le scarpette al chiodo. È ormai da anni che ho intrapreso gli studi in fisioterapia, ho finito gli esami teorici, ho difeso il mio lavoro di bachelor e mi manca solo uno stage di tre mesi".
Come mai ha chiuso questo capitolo della sua vita?
"A maggio ho avuto un arresto cardiaco, mentre guidavo un go kart nel corso di un'uscita con la mia squadra, lo Stade Losanna. Durante i primi giri di percorso sono svenuto e poi non ricordo più niente. Mi hanno raccontato che ho perso il controllo del veicolo e che sono rimasto per 25 minuti senza ossigeno. Mi sono risvegliato dopo tre giorni di coma. Ho rischiato grosso, insomma".
Ha provato a rientrare, comunque.
"È vero e per questo ringrazio il club losannese, che mi ha dato la possibilità di allenarmi nonostante il mio contratto fosse scaduto lo scorso giugno. Ho partecipato al riscaldamento iniziale e anche alle partitelle, ma dopo le ultime due consultazioni coi cardiologi ho deciso di smettere. Ho ancora una cicatrice ed è difficile valutare i rischi, meglio non giocare col fuoco. Ho dato priorità alla salute e alla famiglia". 
Lei ha un dubbio circa il suo incidente.
"Penso che c'entri il vaccino contro il Covid. Mi ero appena sottoposto alla dose e in seguito il mio immunologo mi ha consegnato un certificato medico secondo il quale non posso più farmi vaccinare, perché nel mio caso sarebbe controproducente. Ritengo di appartenere a quella minoranza che ha avuto conseguenze gravi, ma ho comunque salvato la pelle. I dottori mi dicono che sono un miracolato".
Quando a visto Eriksen cadere a terra nell'ultimo Europeo che sensazione ha avuto?
"Non ho provato paura, ho invece pensato che in poco tempo era successo sia a me che a un giocatore di alto livello. Poi si è aggiunto anche Agüero, proprio in questi giorni".
Sua moglie si è presa un bello spavento invece.
"Era incinta di sei mesi quando il mio cuore si è fermato. Poi è nata una bella bambina. Ma non voglio che la mia famiglia debba preoccuparsi ogni volta che vado all'allenamento o alla partita. È anche e soprattutto per questo motivo che ho detto basta. Ho voluto provare a rientrare, ma ho ancora un'infiammazione cardiaca e ho dovuto accettare la situazione".
Le piacerebbe comunque rimanere nel calcio?
"Perché no? Potrei lavorare come fisioterapista o allenare le giovanili, per trasmettere quello che ho vissuto in questi sedici anni sui campi da gioco. Il 3 gennaio comincio lo stage, adesso la mente è rivolta lì". 
In casi come il suo c'è la cosiddetta mozione degli affetti. Chissà quante testimonianze avrà ricevuto.
"Ho ricevuto un sacco di messaggi, una centinaia. C'era anche quello di Croci-Torti, mio compagno a Lugano e Chiasso. Mi ha scritto nuovamente in questi giorni, quando ha saputo che smettevo. Ancora a proposito del Crus, sta facendo cose straordinarie in panchina. Eppoi non potevano mancare le visite del mio migliore amico Carlo Polli. Tutte le dimostrazioni di vicinanza, in quel periodo, mi hanno dato energia per riprendermi in fretta e uscire dal coma".