L’anacronistico Super-G di Wengen ha sancito: il fenomeno
dello sci è Odermatt. La vittoria, il modo di scendere, l’esultanza, la grinta,
il divertimento suo: tutte queste cose moltiplicano a mille l’attrazione per
questo montanaro nidwaldese e di riflesso per il circo bianco ribaltato. La
gara inaugurale della quattro giorni bernese era un recupero di Bormio e solo
per la seconda volta nella storia un Super-G si disputava sul celeberrimo
Lauberhorn, che già di suo è una delle ultime e romantiche reminiscenze del
Novecento. La prima volta si impose Girardelli, nel 1994, e da Marc a Marco il
passo è stato più breve dei 28 anni in mezzo ai due spettacoli.
Perché lo spettacolo è stato puro e al quadrato, su un
tracciato che per una metà era da affrontare in posizione di discesa con punte
di velocità di 138 chilometri orari, in mezzo alcune porte disegnate quasi di
malavoglia per non sporcare troppo il Mito e poi il finale che torna il
classico del Lauberhorn, con quella esse dove i grandi dello sci li nota anche lo
sguardo spalancato di un bambino. Odermatt negli ultimi quindici secondi di
gara ha spaccato gli occhi di noi astanti e io stesso, che sono quello della
giacca a vento della petrolchimica e i mandarini nel tascapane che cade dalla
seggiovia del Nara, mi sono ritrovato a gridare “campioneeeeeee!!!” quando
mancavano ancora duecento metri al traguardo.
Poi è stata una goduria vederlo, l’Odermatt, seduto sullo
scranno del primo, a guardare gli altri scendere e divertirsi come un matto,
senza un gesto di arroganza, ma proprio come il ragazzo che è, come se davvero
fosse al circo Knie. E gli altri a darci dentro inutilmente e ad allargare le braccia
all’arrivo per sancire l’impossibile, perfino il grande Kilde che se l’è risa pure
lui.
Odermatt non è Zurbriggen, non è Cuche, non lo sarà mai, ma
sta sciando a rotta di collo per raggiungerli nella gloria elvetica. Intanto
noi ci raccogliamo i mandarini sparpagliati e con la giacca a vento della
petrol con la cerniera rotta torniamo giovani e raggianti.