TENNIS
Non ha perso solo Djokovic
Il serbo, numero 1 al mondo, ha dovuto lasciare Melbourne dopo 10 giorni di polemiche
Pubblicato il 17.01.2022 08:27
di Silvano Pulga
Alla fine, dopo giorni di tira e molla, si è chiuso il caso Djokovic: Nole è stato rispedito a casa, e con la prospettiva di non poter entrare in Australia per i prossimi tre anni. Giusto o sbagliato? Diciamo che la vicenda va letta sotto diversi punti di vista, e ha sicuramente denotato una certa sottovalutazione da parte di alcune delle parti in causa. Non esiste controprova, naturalmente: ma un approccio differente e più pragmatico avrebbe, probabilmente, portato a risultati differenti. O forse no, chissà: però avrebbe sicuramente salvaguardato l'immagine dell'atleta, oggi fortemente compromessa.
Sottovalutazione, innanzitutto, da parte dell'organizzazione del torneo e dello Stato di Victoria, che hanno pensato di poter aggirare senza problemi particolari i veti imposti dallo Stato federale. Nole, a quel punto, avrebbe dovuto fare un passo indietro: ma, probabilmente consigliato anche da chi voleva che partecipasse al torneo, ha provato a mettere in piedi un castello di carte che consentisse di salvare la faccia a tutti, legalizzando la sua posizione. Al contrario, la ricostruzione dei suoi spostamenti l'ha messo, ben presto, sulla difensiva, con tutte le conseguenze del caso.
Intendiamoci: il non rispetto delle regole è già, di per sé stesso, causa di squalifica, e rende chiunque si macchi di questa cosa indifendibile, ma per questo motivo. Poi ci sono, invece, le questioni più strettamente etiche e morali, che andrebbero valutate a prescindere dal caso specifico: quella che viene chiamata, in termini giuridici, fattispecie astratta.
In soldoni: o esiste un obbligo vaccinale generale, o non esiste. A livello mondiale, siamo nella seconda ipotesi. Si potrebbe dire che esiste un obbligo in tal senso per entrare in un Paese: però, qua si trattava di tutelare uno sportivo di livello internazionale. E diversi attori in causa si erano attivati in tal senso. Oggettivamente, una persona sana, seppur non vaccinata, non può infettare nessuno. Più che altro, rischia d'infettarsi e, in quel caso, è a rischio più degli altri. Ha maggiori possibilità di esserlo e, come sappiamo, l'unica vera prevenzione è il distanziamento sociale il quale, però, ovviamente, non è compatibile con tante attività umane.
Attenzione: non si vuole dire che Djokovic avrebbe dovuto avere un trattamento pari a un qualunque turista che entri da vaccinato nel Paese, tutt'altro. La sua permanenza andava sottoposta a condizioni draconiane: isolamento prima e dopo le partite, obbligo di effettuare un tampone tutti i giorni, mascherine e distanziamento sociale, il pagamento di un'assicurazione sanitaria che coprisse lui e chiunque per ogni tipo di problematica derivante dal Covid a lui in qualche modo riconducibile. Il tennis, in fondo, non è uno sport di contatto: e la rigidità delle regole da osservare (insopportabili a lungo termine per chiunque) avrebbe consentito di vederlo giocare, e non solo. Perché non sarebbe stato uno spot del non vaccinarsi, ma avrebbe mostrato cosa significa non esserlo in un mondo che si sta difendendo da un'epidemia globale. Se poi qualcuno ritenesse compatibile col proprio pensiero vivere così, auguri. 
Allontanare Nole dall'Australia, soprattutto con quelle motivazioni (“(…) la sua presenza sul territorio australiano potrebbe essere un rischio per la salute e l’ordine pubblico” e “potrebbe essere controproducente per gli sforzi di vaccinazione da parte di altri in Australia (...)” significa invece farne (anche suo malgrado) un martire del movimento no vax. Sarebbe stato decisamente meglio che la politica avesse valutato esclusivamente le problematiche formali (che c'erano, come messo in luce in precedenza): il rischio è di scivolare pericolosamente verso il reato d'opinione costringendo anche chi, in linea di principio, è favorevole ai vaccini e a una politica di prevenzione, a dover prendere una posizione quantomeno interlocutoria. E questo non fa bene a nessuno.