Calcio
Un destino lungo 11 metri
Il calcio di rigore è un momento emozionante e decisivo
Pubblicato il 19.01.2022 09:35
di Gabriele Lombardi
Il 2 giugno 1891 nacque ufficialmente il calcio di rigore. Ideato circa un paio d’anni prima dal portiere irlandese McCrum, il tiro dal dischetto fu introdotto dall’International Football Association Board nel regolamento del giuoco del calcio nella stagione 1891-1892. Motivo di discordia e di controversie, la massima punizione ancora oggi si rende responsabile di far piangere o gioire milioni di persone. Spesso è determinante in una partita, ma può decidere anche le sorti di una stagione intera. Un pallone calciato da 11 metri, che viaggia a oltre 80 km/h e che raggiunge la porta in meno di mezzo secondo, apparentemente è implacabile. Con questi parametri chi può pensare di affermare che il calcio di rigore possa essere neutralizzato? Sembrerebbe non lasciare scampo ai portieri, dal momento che quest'ultimi devono coprire un'area di circa 18 metri quadrati in pochissimi decimi di secondo. In realtà sia i portieri che i tiratori possono sfruttare le informazioni visive, utilizzando i segnali visivi anticipatori e mettere in pratica strategie per aumentare la probabilità di vincere il duello. A condire il tutto, la fa da padrona l’ansia che gioca un ruolo determinante, soprattutto quando un calcio di rigore è decisivo per il risultato. Emblematico il rigore calciato da Roberto Baggio durante la finale mondiale del 1994 Italia-Brasile, che si perse nel cielo di Pasadena per la festa brasiliana.
Dunque, l’incaricato del tiro deve scegliere il modus operandi durante la rincorsa: mirare un angolo e mantenere inalterata la sua scelta, indipendentemente dai movimenti del portiere, oppure rivalutare dove calciare la palla in base alle mosse dell'estremo difensore. Dall’altro lato i portieri dovrebbero aspettare il più tempo possibile per tuffarsi, prima del contatto palla-piede del rigorista.
Poi entrano in gioco le variabili umane come le emozioni e i pensieri. Inoltre, le sfumature di uno stadio colmo di tifosi, le grida, le urla sono fattori che non possono essere né misurati né controllati. Non è facile sistemare la palla sul dischetto, magari scolorito dalla pioggia battente e calciare la palla in fondo al sacco. Non è semplice, inoltre, cercare di respingere con i guantoni infangati un pallone che per la maggior parte delle volte è destinato ad andare in rete. È tutto un gioco di sguardi, di studio reciproco, di fortuna.
La pressione psicologica è tutta sul rigorista. Ci vuole coraggio, in fondo. L'estremo difensore invece, sa che se subisce gol non succede niente, non gli daranno mai la colpa.
Cantava De Gregori: “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari, che si giudica un giocatore”.