Ti abbatteranno come un mulo vecchio che non riesce più a
portare il basto. Ti abbatteranno d’estate, per non farsi vedere, quando il
ghiaccio è un ricordo e l’erba cresce. Al tuo posto, un bel niente, un prato
agricolo, che è meglio di un bastimento sfitto all’ombra di un’ipotetica frana.
In vece tua c’è già la necessaria e sfavillante arena, che
chiamano empiricamente Gottardo ma che del massiccio non ha nulla tranne la
nuova via delle genti dell’hockey, contente di stare al calduccio e senza coda
per la birra, senza spintoni per il cesso. Non fai più paura a nessuno già
adesso che sei lì ancora in piedi come quei vecchi che aspettano la morte sulla
porta dell’ospizio. Tu che minacciavi tempeste su squadre e tifosi rivali, tu
che ammantavi di leggenda anche l’ultima delle riserve, tu che avevi un
ghiaccio duro come nessuna, che ti si sganciavano le porte, che per uscire era
meglio aspettare in compagnia etilica, tanto vale.
Proprio in questi giorni un giovane ceco è andato a
Rapperswil nel pieno della stagione, preferendo il circo allo spirito della
valle: con te ancora operante non sarebbe mai successo, pensa a fenomeni come
McCourt o Malkov che sono rimasti fino allo stremo delle forze.
Tu che ci hai tirato fuori tutto, la disperazione e l’ebbrezza,
il senso di comunità da scimmie sugli alberi, l’idea dell’odore di stalla, come
ti definivano i cittadini bianchi e neri. Tutto, tranne la noia. E poi gli
amori e gli stordimenti, la promiscuità come libera scelta, l’identificazione
con un modo di essere e di stare, la poesia proletaria, l’incanto dei canti e
la provvisorietà.
E allora, avanti coi concerti e le luci led, le maniche di
camicia in dicembre e le casse acustiche a informare i clienti,
nell’andirivieni ovattato dei carneadi.
Il mulo è morto, viva il mulo, e poi un grande prato verde
dove non nascono più ragazzi e che non è quello dell’amore, anche Morandi si
rassegnerebbe.