Sofia Goggia esprime ciò che molti noi non sanno o non vogliono:
schiacciare il pulsante “on” senza calcoli e senza nemmeno fare troppo conto
sulla maestria. Francamente, dal divano l’esaltazione per le acrobazie della
bergamasca si alterna in un bilzobalzo estremo con il timore del patatrac.
Dieci infortuni, dieci operazioni, dieci anni: la Goggia sconta le clamorose
vittorie così, fracassandosi.
Stavolta è successo a Cortina nel Super-G, anche se pure il
giorno prima in discesa è venuta giù a valanga in mezzo al vento senza mai
usare il contropedale, tra derapate, balzi e agitazione delle braccia. Vincendo
ed emozionando tutti con la capacità di ripercorrere i suoi azzardi anche nelle
interviste, uno spettacolo anche quelle.
Il giorno dopo, caduta oltre i limiti, che lei nemmeno tenta
di riconoscere, e il mio amico Meo che mi chiede tutto spaventato se ce la farà
a raccogliersi. Ce la fa, ma legamenti e ossa sono lese e le Olimpiadi sono a
rischio. Ovviamente lei dice che ci sarà, ti pareva. Tra imprecazioni, stupore
e rabbia, è tutto un rimando di esagerazioni sulla voglia nostra di vederla e
su quella sua di aggrapparsi a ogni possibilità.
Sfortunata anche Lara Gut, che nella discesa ha scoperto il
vento come se fosse la prima volta che soffia sulle montagne (è noto che lo sci
è uno sport che si pratica al chiuso, ma stavolta qualcuno ha aperto le
finestre e la corrente d’aria ha sorpreso solo lei e non le altre, che
ingiustizia). Nel Super-G la Gut è andata anche peggio, ma non avendo riscontri
sulle avversità che si abbattono solo su di lei, ha preferito non rilasciare
dichiarazioni optando per una delle operazioni-simpatia che l’hanno resa
celebre.