Calcio
Il calciatore è un prigioniero
I professionisti sono lavoratori pagati così bene da dover rinunciare a tutto, compresa la libertà
Pubblicato il 26.01.2022 11:14
di Giorgio Genetelli
 Secondo me, come sempre: i calciatori professionisti sono lavoratori pagati così bene da dover rinunciare a tutto, compresa la libertà. E con essa se ne va la cultura, la vita, la misura, gli altri. Prendiamo come esempio il caso Vlahovic, che è l’ultimo e fresco ma vale per tutti: perché lascia Firenze per Torino? Perché Firenze non la conosce, non conosce la gente che ci vive, non si relaziona, non ne respira l’aria, non si siede in un baretto di San Frediano, non cammina fino a Piazzale Michelangelo, non si attarda nelle dolci sere toscane a dibattere con la gente che la popola, non sente il suo cuore riempirsi dalla millenaria appartenenza a un modo di essere e fare. Si allena, gioca, segna, esulta e torna a rinchiudersi in casa. A Torino sarà uguale. Una vita da recluso con qualche ora d’aria in luoghi sgombrati da altre presenze: un ristorante vuoto solo per lui, un parco disabitato. E sarebbe uguale se fosse a Parigi, Londra, Toronto o a Buenos Aires. Anche a Belgrado.
Il metro non è la vita che si completa, ma solo quella dei prigionieri e allora tanto vale basare tutto sui soldi e la gloria. In questi termini di ragionamento hanno sbagliato tutto anche i club, depositari della sacra arte del gioco e nel contempo traditori. Non hanno capito che per trattenere un giocatore serve la simbiosi con il posto in cui vive, la libertà della gioventù che fuori dal campo fa ciò che vuole e trova mille modi per amarlo, quel luogo, e sentire che è quell’aria, quel sentire, che anima la squadra che lo rappresenta.
È una cosa difficile, si chiama condivisione, quella che forma l’identità e tracima nell’empatia e nella gioia che nasce dall’avere una vita piena di cose grandi e piccole, in comunità. I club, non capendo questo valore, danno al giocatore un prezzo, lui lo accetta e ritorna in prigione, una nuova ma terribile come quella precedente. Durante la quale scriverà la sua biografia, come un Silvio Pellico minore.