CALCIO
Weisz che scoprì Meazza e morì ad Auschwitz
Nel giorno della memoria, una storia di calcio e ingiustizia
Pubblicato il 27.01.2022 10:13
di Giorgio Genetelli
Arpad Weisz scoprì Giuseppe Meazza e morì ad Auschwitz. Allo Stadio Dall’Ara di Bologna una targa in sua memoria fu posata nel 2009 e nel 2012 anche l’Inter fece altrettanto. Furono le leggi razziali promulgate da Mussolini a costringere Weisz, ebreo ungherese, a fuggire prima in Francia e poi in Olanda con moglie e figli nel 1938, dopo aver perso il lavoro di allenatore a Bologna. Quando i nazisti occuparono l’Olanda, i Weisz furono deportati e assassinati ad Auschwitz.
L’odissea di Arpad Weisz è stata raccontata dopo anni di oblìo dallo scrittore italiano Matteo Marani nel libro “Dallo Scudetto ad Auschwitz”, riportando alla luce una delle tante storie di dolore e sopraffazione di cui si macchiò l’efferata follia criminale nazifascista. Prima della tragedia che sconvolse l’Europa e il Mondo, Weisz era stato un buon calciatore, partecipando anche alle Olimpiadi del 1924 con la maglia dell’Ungheria. Giunto in Italia, dopo esperienze in Sudamerica, giocò con Alessandria e Inter (a quei tempi Ambrosiana per imposizione del Duce). Un paio d’anni per capire che la sua vera vocazione era allenare.
Applicò subito le sue visioni rivoluzionarie. A quei tempi l’allenatore era un uomo in giacca e cravatta che si occupava di stabilire chi dovesse giocare o meno, senza dare un solo calcio al pallone o men che meno dirigendo gli allenamenti sul campo. Weisz ribaltò tutto. In pantaloncini e scarpette come i suoi giocatori dirigeva, istruiva, guidava e insegnava “tirando” l’allenamento. Una vera rivoluzione che portò frutti immediati. Con il Pepin Meazza, da lui scoperto e lanciato, portò l’Inter allo scudetto nel 1930. Dopo le esperienze a Novara e a Bari, passò al Bologna e lo trasformò nella squadra “che tremare il mondo fa” conquistando due scudetti nel ’36 e nel ’37, ma soprattutto vincendo a Parigi il Torneo dell’Esposizione Universale battendo 4-1 il Chelsea. Una lezione agli inglesi, ancora immacolati nella loro veste di Maestri del calcio, condensata nel suo famoso e illuminato manuale sul gioco del calcio.
Ma il rombo della guerra già riempiva l’aria, il tempo della vita stava tramontando e Arpad Weisz non si sentiva più al sicuro in quella Italia votata alla delazione. Il Bologna lo licenziò e lui cercò la salvezza fuggendo con la moglie Elena e i figli Roberto e Clara. Nella civile e martoriata Olanda riuscì ancora a fare meraviglie guidando il FC Dordrecht, ma il destino strinse il pugno e nell’orrore di Auschwitz si compì.
Due targhe ricordano e onorano Arpad Weisz. E sono un pugno nello stomaco a tutti i neonazisti che ancora appestano gli stadi. Per non dimenticare mai.