Olimpiadi
Il cerchio chiuso dei cinque cerchi
Dura la vita per quei marchi che non sono sponsor olimpici
Pubblicato il 19.02.2022 09:51
di Giorgio Keller
I cerchi sono cinque, ma tutt’attorno c’è un proprio cerchio. Se non paghi, o voli fuori o passano a metterti delle patacche sull’insegna! Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) decide e infligge pene malgrado la mancanza di un giudice. Da corrispondenze giunte dalla Cina, molti tra negozi, negozietti e di punti vendita hanno subito le azioni degli organizzatori. Chi avesse voluto godersi dei chicken nuggets attorno a Pechino in queste due settimane visitando un KFC che era ancora aperto all'inizio dei Giochi è rimasto a stomaco vuoto. Credendo ai media locali, la Coca Cola (uno degli sponsor dei giochi e del CIO) ci avrebbe messo lo zampino. La catena fast-food americana serve bevande del concorrente Pepsi. Volete un altro esempio? Una filiale di Starbucks, il caffè statunitense che non è uno sponsor olimpico, ha dovuto spegnere le sue macchine, trovandosi in un albergo che è stato convertito a centro stampa. Persino il loro logo hanno dovuto coprirlo con del nastro adesivo scuro.
Il CIO attua una strategia pubblicitaria difficile da capire. Da una parte proibizione assoluta di pubblicità attorno ai Giochi, sia mancando su ogni sito sede di competizioni qualsiasi striscione pubblicitario, sia impedendo ai partecipanti qualsiasi fotografia o apparizione che li possa legare a uno sponsor; effettivamente al rientro delle diverse Gisin, Sutter e Gut-Behrami, all’uscita dell’aeroporto di Kloten nessuna foto con medaglia e sponsor personale sul capo – eccezion fatta beninteso per la ticinese che non aveva neanche la medaglia d’oro su di se (“I bagagli non sono ancora arrivati”). Ma almeno lo sponsor avrebbe potuto distribuire barre di cioccolato ai convenuti.
E fin qui ci siamo. Domanda: ma i milioni e stramilioni di soldi che l’organizzazione olimpica con sede a Losanna a che cosa servono? A organizzare i Giochi? Ah, bene. E i diritti televisivi dove vanno a finire? Sicuramente nel castello di Route de Vidy 9, 1007 Lausanne. Con imprendibile vista lago.
A Pechino non hanno spento solamente la macchina del caffè. La stessa procedura è stata messa in atto per gli allarmi antincendio, i distributori di sapone, gli orologi e i termometri che non siano di marca di sponsor olimpici. E non basta. Su macchine e furgoncini utilizzati per il servizio navetta che non siano dello sponsor, la marca del mezzo di trasporto è stato coperta. Da noi ci fu un caso uguale. Ci viene in mente il ristorante Wirtshaus St. Jakob vicino allo stadio di calcio di Basilea che, in occasione degli Europei del 2008, non fu d’accordo di dover servire la birra sponsor dell’Uefa: ci credete che lo recintarono tutt’attorno?
Il vostro cronista, una decina d’anni fa, visitò lo shop adiacente al museo olimpico di Losanna dove si possono acquistare gadgets di ogni genere facendo alcune fotografie dei medesimi da mostrare al padre di un suo nipote in vista di un regalo: in uno sprint da Marion Jones, la cassiera mi venne incontro indicandomi l’assoluta proibizione di scattare foto all’interno di questo shop. Capito? Acquistare sì, fare una foto no.
Sarà vero che i cinque cerchi dell’emblema olimpico siano uno dei marchi più protetti al mondo in compagnia, tra gli altri, di quello della Ferrari. La quale Ferrari in anni lontani tentò di far cambiare nome a un garage Ferrari in Ticino, di proprietà effettiva del signor Ferrari, stesso dicasi di una marca di caffè Ferrari alla periferia di Zurigo.
Quando diversi anni fa l’agenzia avvenimentistica zurighese swissSpirit.org volle organizzare delle animazioni attorno ai Giochi Olimpici in centri commerciali, alla richiesta di una collaborazione la rappresentanza svizzera del CIO rispose con una raccomandata di tre pagine contenente tutto quanto fosse “proibito.”
Un giorno l’elvetica e plurimedagliata olimpica Vreni Schneider aprì un negozio di sport nella sua Elm (Glarona) aggiungendo i cinque cerchi all’insegna: ebbene, glieli han fatti togliere!
Nel lontano 1972 l’asso dello sci austriaco e favorito per la vittoria della medaglia d’oro in discesa poi vinta da Bernhard Russi venne rispedito a casa dai Giochi di Sapporo dall’allora presidente del CIO, Avery Brundage, reo di aver trasgredito la “charta olimpica”. Al rientro, in 50 mila ad attenderlo a Vienna con tanto di corteo attraverso la città. La “colpa” di Schranz? Poco prima dei Giochi aveva partecipato a una partita di calcio a scopo benefico indossando la maglietta con la scritta di uno sponsor di caffè. Oggi chi vince una medaglia ai Giochi è quasi milionario. Prima che ci dimentichiamo: quella scritta non fu Starbucks.