I cerchi sono
cinque, ma tutt’attorno c’è un proprio cerchio. Se non paghi, o voli fuori o passano
a metterti delle patacche sull’insegna! Il Comitato Olimpico Internazionale
(CIO) decide e infligge pene malgrado la mancanza di un giudice. Da
corrispondenze giunte dalla Cina, molti tra negozi, negozietti e di punti
vendita hanno subito le azioni degli organizzatori. Chi avesse voluto godersi
dei chicken nuggets attorno a Pechino in queste due settimane visitando un KFC
che era ancora aperto all'inizio dei Giochi è rimasto a stomaco vuoto. Credendo
ai media locali, la Coca Cola (uno degli sponsor dei giochi e del CIO) ci avrebbe
messo lo zampino. La catena fast-food americana serve bevande del concorrente
Pepsi. Volete un altro esempio? Una filiale di Starbucks, il caffè statunitense
che non è uno sponsor olimpico, ha dovuto spegnere le sue macchine, trovandosi
in un albergo che è stato convertito a centro stampa. Persino il loro logo hanno
dovuto coprirlo con del nastro adesivo scuro.
Il CIO attua una
strategia pubblicitaria difficile da capire. Da una parte proibizione assoluta
di pubblicità attorno ai Giochi, sia mancando su ogni sito sede di competizioni
qualsiasi striscione pubblicitario, sia impedendo ai partecipanti qualsiasi
fotografia o apparizione che li possa legare a uno sponsor; effettivamente al
rientro delle diverse Gisin, Sutter e Gut-Behrami, all’uscita dell’aeroporto di
Kloten nessuna foto con medaglia e sponsor personale sul capo – eccezion fatta
beninteso per la ticinese che non aveva neanche la medaglia d’oro su di se (“I
bagagli non sono ancora arrivati”). Ma almeno lo sponsor avrebbe potuto
distribuire barre di cioccolato ai convenuti.
E fin qui ci
siamo. Domanda: ma i milioni e stramilioni di soldi che l’organizzazione
olimpica con sede a Losanna a che cosa servono? A organizzare i Giochi? Ah,
bene. E i diritti televisivi dove vanno a finire? Sicuramente nel castello di
Route de Vidy 9, 1007 Lausanne. Con imprendibile vista lago.
A Pechino non
hanno spento solamente la macchina del caffè. La stessa procedura è stata messa
in atto per gli allarmi antincendio, i distributori di sapone, gli orologi e i
termometri che non siano di marca di sponsor olimpici. E non basta. Su macchine
e furgoncini utilizzati per il servizio navetta che non siano dello sponsor, la
marca del mezzo di trasporto è stato coperta. Da noi ci fu un caso uguale. Ci
viene in mente il ristorante Wirtshaus St. Jakob vicino allo stadio di calcio
di Basilea che, in occasione degli Europei del 2008, non fu d’accordo di dover
servire la birra sponsor dell’Uefa: ci credete che lo recintarono tutt’attorno?
Il vostro
cronista, una decina d’anni fa, visitò lo shop adiacente al museo olimpico di
Losanna dove si possono acquistare gadgets di ogni genere facendo alcune
fotografie dei medesimi da mostrare al padre di un suo nipote in vista di un
regalo: in uno sprint da Marion Jones, la cassiera mi venne incontro
indicandomi l’assoluta proibizione di scattare foto all’interno di questo shop.
Capito? Acquistare sì, fare una foto no.
Sarà vero che i cinque
cerchi dell’emblema olimpico siano uno dei marchi più protetti al mondo in
compagnia, tra gli altri, di quello della Ferrari. La quale Ferrari in anni
lontani tentò di far cambiare nome a un garage Ferrari in Ticino, di proprietà
effettiva del signor Ferrari, stesso dicasi di una marca di caffè Ferrari alla
periferia di Zurigo.
Quando diversi
anni fa l’agenzia avvenimentistica zurighese swissSpirit.org volle organizzare
delle animazioni attorno ai Giochi Olimpici in centri commerciali, alla
richiesta di una collaborazione la rappresentanza svizzera del CIO rispose con
una raccomandata di tre pagine contenente tutto quanto fosse “proibito.”
Un giorno
l’elvetica e plurimedagliata olimpica Vreni Schneider aprì un negozio di sport
nella sua Elm (Glarona) aggiungendo i cinque cerchi all’insegna: ebbene, glieli
han fatti togliere!
Nel lontano 1972
l’asso dello sci austriaco e favorito per la vittoria della medaglia d’oro in
discesa poi vinta da Bernhard Russi venne rispedito a casa dai Giochi di
Sapporo dall’allora presidente del CIO, Avery Brundage, reo di aver trasgredito
la “charta olimpica”. Al rientro, in 50 mila ad attenderlo a Vienna con tanto
di corteo attraverso la città. La “colpa” di Schranz? Poco prima dei Giochi
aveva partecipato a una partita di calcio a scopo benefico indossando la
maglietta con la scritta di uno sponsor di caffè. Oggi chi vince una medaglia
ai Giochi è quasi milionario. Prima che ci dimentichiamo: quella scritta non fu
Starbucks.