C’era una volta una terra di Giganti che scorrazzavano per i
prati. Erano così alti e forti che le squadre li reclutavano tutti selezionando
quelli che passavano i tre metri d’altezza e i duecento chili di peso. Non
c’era verso di fermarli, lenti e macchinosi ma inscalfibili. Antonio e Mattia
invece erano i soli rimasti in campo a pesare come piume, due soldini di cacio
che chissà come avevano resistito alla decimazione dei minuti. Vedi figliolo,
era un mondo così, di parole e passi brutali, ma dieci anni prima Antonio e
Mattia erano poco più che bambini e dal loro piccolo angolo conquistarono il
mondo, dalla Repubblica Ceca al Brasile, dall’Inghilterra al Portogallo.
La loro bravura li portò nella terra dei Giganti e facevano
tenerezza con le loro serpentine tra i piloni. Ma tutti a dire: troppo piccoli,
troppo fragili, troppo fuori dal tempo. Solo che a furia di colpi di testa in
anticipo sulla lentezza dei Giganti e di serpentine tra le gambe aperte come
immense voragini, Antonio e Mattia cominciarono a convogliare sempre più gente
negli stadi, dopo dieci anni di fatiche e invenzioni, di ferite e cadute.
Giorno dopo giorno sempre migliori, poetici, romantici e implacabili.
Il Maestro della Nazione si accorse finalmente anche lui,
abbacinato dalle finte e dalle immaginazioni di Antonio e Mattia e li convocò
per vestire la splendida maglia rossa del Paese. Prima li lasciò un po’ seduti
a guardare, poi in un bellissimo giorno di dicembre, nel deserto arabo, li
lanciò nella partita più importante della storia.
Il resto lo sai, figliolo, li hai visti anche tu i Giganti
cadere come birilli ubriachi, ingannati dai voli rasoterra di Antonio e Mattia,
come le rondini a pelo d’erba quando prima del temporale vanno a caccia dei
moscerini. Ci sono voluti dieci anni, ma dal loro metro e mezzo i veri Giganti
adesso sono loro due, Antonio e Mattia.
C’è sempre una possibilità.