Chissà cosa avrebbe detto Vuja Boškov, se
avesse potuto vedere il VAR e, soprattutto, le nuove regole sui falli di mano,
che stanno determinando un grandissimo proliferare di calci di rigore, in
Svizzera ma non solo. Siamo abbastanza avanti con l'età da ricordare
interminabili discussioni, al lunedì (si giocava solo alla domenica: al
massimo, oltre confine, col posticipo serale, quando nacque la televisione a
pagamento) sulla volontarietà o meno dei falli di mano in area, soprattutto
quando non puniti. Oggi, il tocco di mano è praticamente sempre sanzionato,
tanto da costringere i difensori, quando si trovano in area, a fronteggiare gli
avversari con le mani dietro la schiena, in una postura francamente innaturale.
Giusto o sbagliato? Non
è facile decidere: certo, la volontarietà o meno dell'intervento è un criterio
difficilmente dimostrabile, e uno dei pochi ad aver ammesso (dopo) di aver
commesso un fallo di mano volontario è stato Diego Maradona, nei mondiali del
1986 in Messico, in occasione della rete contro l'Inghilterra, segnata nientemeno
(a suo dire) per procura divina (la "Mano de Dios", appunto).
Tuttavia, quando la distanza è minima, diventa arduo, a nostro parere, parlare
di volontarietà, mentre riterremmo più plausibile pensare al giocatore in
possesso palla che, intenzionalmente, colpisca la stessa per farla carambolare
sulla mano dell'avversario. Affaire à suivre, insomma: crediamo, infatti, che
di questa cosa se ne parlerà parecchio, nel futuro prossimo.
Una volta che la massima
punizione viene fischiata, giusta o sbagliata che sia (del resto rigore
è quando arbitro dà...) bisogna tirarlo. E, da un po', quando un giocatore
del Lugano si avvia verso il dischetto, in molti iniziano a fare gli scongiuri.
L'ultima massima punizione sbagliata (la quarta in questa stagione, compresa la
Coppa) è fresca (Celar domenica in casa col Losanna). Ma cosa ci dicono i
numeri?
Prima dell'avvento del
VAR (stagione 2019/20), dal ritorno in Super League, ai bianconeri erano stati
assegnati (in campionato) 17 rigori (dei quali 14 trasformati). Col VAR, le
massime punizioni fischiate a favore di Sabbatini e compagni sono state 16 (11
le reti segnate). In questa speciale classifica, Marić è il migliore, essendo
andato a segno in 6 occasioni, fallendo 2 volte la trasformazione (in
campionato a Sion a Luglio 2020 e, soprattutto, in Coppa lo scorso anno in casa
col Lucerna: in questa competizione, 8 sono stati i rigori assegnati dal
2015/16, dei quali 4 segnati e 4 falliti). In questa stagione (9 le massime
punizioni assegnate ai ticinesi, delle quali una in Coppa svizzera), si sono
cimentati, oltre al centrale difensivo (un rigore calciato e messo a segno), il
suo compagno di reparto Reto Ziegler (4 tirati - 1 in Coppa - e 2
falliti), Custodio (uno tirato e sbagliato, col GCZ a Cornaredo) e infine Celar
(3 tirati e 1 sbagliato).
Il Crus, quando gli è
stato chiesto, ha sempre detto che i rigoristi in squadra sono diversi. In ogni
caso va detto, a scanso di equivoci, che prendersi la responsabilità di
calciare è sempre un gesto di coraggio, specialmente quando il pallone pesa un
quintale. Ne sa qualcosa, oltre a Marić,
Bottani (che sbagliò il famoso rigore in finale a Zurigo nel 2016). Ma l'elenco
non si esaurisce con questi nomi. Perché è un dato di fatto che, quasi sempre,
i rigori falliti dai sottocenerini hanno coinciso con un'eliminazione in Coppa
(ci fu anche quella ai rigori, in casa col GCZ, nella stagione 2017/18) o con
una mancata vittoria in campionato. E questo, bene o male, resta nella memoria,
molto più dei rigori realizzati che, come abbiamo visto, sono la maggioranza.
Con la
semifinale di Coppa che si avvicina, è giocoforza pensarci sopra, visto che non
si può escludere che si debba arrivare alla soluzione dagli undici metri. E,
infatti, domenica, in conferenza stampa, dopo l'errore di Celar, la domanda è
venuta fuori, ed è stata esorcizzata dal Crus con la consueta ironia.
Intendiamoci: il calcio di rigore è un gesto tecnico, come tanti altri. Lo puoi
allenare, come tanti altri. Quello che non puoi fare, nella preparazione, è
ricreare le condizioni psicofisiche della partita. Che fanno, manco a dirlo,
tutta la differenza del mondo.
Da ragazzini, giocavamo in oratorio, ed eravamo
allenati dal Don. Che aveva il tiro più forte del quartiere, ed era
il terrore di quelli, di noi, che si mettevano in porta, quando ci faceva
vedere come si tiravano le punizioni. A volte, in tonaca: ma la rete, quando la
palla entrava, si sollevava come l'avesse investita uno squalo. Sui rigori,
aveva la sua teoria: "Ragazzi, nessuno di voi è Rivera, Bettega o
Boninsegna. Non cercate di mandare il pallone da una parte e il portiere
dall'altra: limitatevi a battezzare il vostro angolo, e a decidere se volete o
meno incrociare. E poi, tirate una lecca in quell'angolo, rasoterra. Il
portiere si butta dalla parte giusta? Bene: vediamo se ci arriva e, qualora ci
riuscisse, se riesce a tirare fuori la biglia dalla porta, o se invece gli
piega le dita e va dentro comunque. Se è una bella lecca, ed è nello specchio,
va dentro. Ora vi faccio vedere..." Sono passati tanti anni, è vero:
non ci ricordiamo, però, di averlo visto sbagliare. Ma l'insegnamento che ci
lasciò, il più importante, fu un altro: "L'unico che non sbaglia
mai un rigore è quello che non lo tira. Se farete come vi dico, ne sbaglierete
pochi, a meno che tiriate fuori, e può succedere. Ma se capita a un compagno,
andate a rincuorarlo subito. Perché si è messo in gioco, ha avuto il coraggio
che a voi è mancato. Siete una squadra, e dovete comportarvi da squadra, per
rimediare tutti assieme." Ecco perché chi tira merita, a nostro
parere, sempre il massimo rispetto. Perché ci vuole coraggio a calciare un
rigore importante, magari con la Südkurve che ulula dietro la porta. E
sbagliare, in fondo, è umano.
(Nella foto Putzu, Celar abbraccia Bottani dopo il gol al Losanna)