Il grande successo planetario del calcio è dovuto alla sua
semplicità: due squadre, due porte, un pallone. Scopo del gioco: buttare
quest'ultimo, facendo uso solo dei piedi, nelle porte citate. In estrema
sintesi, tutto si riduce a questo. Vero, poi, che per fare questa cosa, da
decenni s'inventano tattiche e sistemi che riducano la possibilità che ci
riescano gli avversari aumentando, nel contempo, le proprie, e che tutto ciò
abbia fatto versare fiumi d'inchiostro (e, oggi, faccia impiegare anche milioni
di byte di memorie dei server), rendendo tutto più complicato. Tuttavia, la sua
semplicità, unita al fatto che, a differenza di altri sport, l'aspetto tattico
possa consentire (a volte, ovviamente) ai più deboli fisicamente di prevalere
sui più forti, ribaltando una legge naturale, ne fa uno degli sport più amati
nel mondo, se non quello più seguito in assoluto.
In estrema sintesi, questo è successo ieri sera al
"Barbera" di Palermo. Intendiamoci: che la strada per il Qatar fosse
irta di difficoltà, per i campioni d'Europa in carica, era già stato detto. Gli
Azzurri, in caso di qualificazione, erano attesi dal Portogallo di Cristiano
Ronaldo (il quale, come da pronostico, anche se con qualche patema, è venuto a
capo della Turchia) nella Penisola Iberica: partita difficile. Tuttavia, che
l'undici di Mancini avrebbe avuto ragione, in casa, di Alioski e compagni, era
dato praticamente per scontato. Le quote delle principali agenzie di scommesse
davano il successo dell'Italia a 1,18/1,22, mentre quello dei balcanici era
pagato tra le 12 e le 15 volte. In termini di pronostici, un'enormità.
Il calcio, come scrivevamo, è semplice: per vincere, devi segnare
un gol in più di quelli con le maglie di colore diverso. I padroni di casa,
ieri, hanno calciato verso la porta avversaria 32 volte; ma solo in 5 occasioni
hanno centrato lo specchio. Hanno fatto il 64% di possesso palla, riversandosi
nella metà campo avversaria, e finendo per soffocare sé stessi. In quella
densità nell'area ospite, ben 16 sono state le conclusioni ribattute dai
difensori macedoni. Stesso numero per i calci d'angolo, mai sfruttati con un
colpo di testa vincente, o una seconda palla, che dovrebbero essere le
soluzioni vincenti, in questi casi. Così dicono i manuali, perlomeno.
Agli Azzurri è mancato il guizzo nei 16 metri finali. Insigne,
Immobile, lo stesso Berardi non sono rapinatori d'area, ma giocatori che danno
il meglio di loro negli spazi aperti, in velocità. In mezzo al campo, Verratti
è stato tra i pochi a sopravvivere al naufragio. Ma si sono viste poche discese
sulle fasce; e, del resto, sarebbe mancata una torre in grado di buttare i
traversoni, di testa, alle spalle del portiere. Per il resto, poche
occasioni (una, nella prima frazione, sprecata da Berardi, dopo un regalo del
portiere avversario, e altre tre nella ripresa, capitate rispettivamente due
sui piedi dell'attaccante del Sassuolo e una su quelli di Pellegrini), tanti
errori e, soprattutto, grande difficoltà, appunto, a trovare la porta
avversaria. Emblematica l'ultima occasione capitata, appunto, a Pellegrini il
quale, entrato in area, non contrastato, anziché concludere verso la porta, ha
allargato sul secondo palo, fuori misura per Berardi, tra l'altro coperto da un
difensore macedone. In pochi secondi, lo specchio della gara degli
Azzurri.
Chi, invece, il gol lo ha segnato, è stato Trajkovski al 92'.
Contropiede, pallone controllato di petto, rasoterra da fuori angolato e secco,
portiere che si butta ma non c'arriva: proprio come ci insegnavano, da
ragazzini, all'oratorio. Perché il calcio è una cosa semplice, e i tiri a
effetto, all'incrocio dei pali, sono invece roba difficile, per quelli bravi.
Quelli normali devono fare le cose più facili: correre più forte degli
avversari, mettersi davanti a loro quando provano a tirare in porta, chiudere
gli spazi dietro, raddoppiare. Ecco, il calcio non è roba complessa, lo possono
giocare anche quelli che non sono dei fenomeni. E, alla fine, magari, riescono
a battere gente che aveva 15 volte più di loro la probabilità di vincere.
Secondo gli algoritmi. I quali, però, sono roba complessa, messa giù da geni
informatici. E il football, invece, è roba meno complicata, da persone normali:
però è capace di regalare serate così. Meno male.