L'Italia gioca
contro la Turchia una partita inutile e triste. La clamorosa esclusione dal
Mondiale fa ancora discutere. Ma, all'italica maniera, il dibattito è sterile e
senza nessun costrutto. Dopo il classico e melodrammatico stracciamento delle
vesti, tutto sembra rientrato nei ranghi. Ancora qualche ora e poi risuonerà
forte la grancassa di Juve-Inter, la madre di tutte le partite: foriera di
tutte le polemiche possibili. Tutto tornerà a scorrere nei meandri di un corso
che difficilmente muterà la sua strada.
Mancini, ha sciolto
la fatidica riserva, rimarrà sulla panchina azzurra. La delusione pare
smaltita. Si sente giovane e ancora forte. L'obiettivo è quello di vincere,
dopo l'Europeo, un Mondiale. Si è consultato con Gravina e la sintonia è stata
totale, sono allineati su tutto. Bontà loro.
Il tecnico una
spiegazione, circa il clamoroso fallimento, l'ha fornita: “Dovevamo vincere
il gruppo con almeno due punti di vantaggio sulla Svizzera. A Basilea la
partita doveva finire 3-0”. Sostiene che la squadra ha sempre giocato bene.
Sicuro che ci sono state delle imprecisioni, ma le “cose” sono andate storte.
Altro che crisi di un intero movimento. Altro che sistema da rifondare. Altro
che riforme da impostare. Panglossismo puro: il calcio italiano gode di buona
salute.
Intanto, c'è stata
un'autentica fuga da parte di molti calciatori, che hanno preferito abbandonare
la nave e sono rientrati nei rispettivi club. Mancini li ha giustificati:
adducendo motivi fisici. Ma giocatori come Immobile o Insigne, osannati in
patria e sempre titolari, avrebbero dovuto metterci la faccia e rimanere. Lo ha
fatto Giorgio Chiellini. L'unico che sta emergendo. Dopo la partita ha parlato,
esprimendo concetti degni e condivisibili. Lui va in Turchia. Non si fa fermare
dai suoi numerosi acciacchi. Poteva rientrare, tranquillamente, a Torino e
preparare la disfida contro i nerazzurri.
Ha scelto,
coraggiosamente, di restare. È da questi particolari che si giudica un
calciatore.