CALCIO
Il calcio di paese è una riserva
Peccato che qualcuno voglia rovinare questi momenti bellissimi e unici
Pubblicato il 30.03.2022 09:53
di Giorgio Genetelli
La prima cosa è la buvette, la scorgo da lontano come una mamma che veglia i suoi figlioletti che giocano alla palla. Calcio minore, si diceva una volta, poi diventato calcio regionale. Ma è calcio di paese, in questo caso Someo, nel cuore della Vallemaggia. Agguanto la birretta, incontro il vecchio sindaco, che ha solo 46 anni ma qua è tutto precoce, altro che bamboloni di mammà. Ci sediamo dietro la porta, panchina di legno rialzata e discutiamo. Il Sendich Vecc è uno spasimante di Zeman, ogni tanto mi dà notizie del Foggia, tornato ad essere il centro boemo del mondo. Mentre si gioca, bambinetti fanno il giro del campo a cavallo dell’infanzia, che di solito è un po’ recintata nelle case e nelle scuole, ma qui scorrazza che è un piacere.
L’arbitro è un signore calvo, che corre sghembo come una radice e sembra gentile. Fischietta qua e là, richiama con garbo, concede pochi gesti autoritari. I ragazzotti in maglietta fanno i bravi, qualche protesta appena accennata e alcuni calcioni più inesperti che maligni. Dalle panchine, gli allenatori danno indicazioni mettendo su le classiche pose, mani incrociate davanti o dietro, come se osservassero o dirigessero un centro di biomedicina.
Appena finita la partita, entriamo a tirare un paio di rigori al figlio del Sendich Vecc, che non si butta perché lamenta un dolorino e c’è gloria anche per noi anchilosati. Alla buvette, la cara e attraente dispensatrice di bibite fresche, si forma il crocchio degli irriducibili e c’è anche il Pauli, inviato della federazione per controllare gli eventi ed è una miniera di aneddoti. Va tutto talmente bene che tra un giro e l’altro ci si butta nei ricordi del vecchio calcio e si sghignazza, cosa che in famiglia non funziona perché nessuno capisce e si passa per noiosi. Si approssima anche l’arbitro, che ci tiene a dire che la sua è una passione, quasi come se la nostra non lo fosse.
Ben oltre il terzo tempo, ci si saluta e torno a casa convinto che il calcio di paese è una delle ultime riserve collettive, quasi indiana. E mi chiedo: perché qualche stronzo intemperante lo vuole rovinare? Siamo già così pochi.