GOLF
"Tiger è un combattente, quasi un soldato"
Alla vigilia del major di Augusta, Paolo Quirici parla del ritorno del numero 1 di sempre
Pubblicato il 06.04.2022 09:33
di L.S.
Il master di Augusta (Georgia) che inizia domani (fino a domenica) è uno dei quattro “major” del golf, il primo di questo 2022.
Un torneo importante e bellissimo, che ha premiato nella sua lunga storia grandissimi giocatori.
Quest’anno, oltre all’importanza del torneo, ci sarà tanta curiosità per l’ennesimo ritorno di Tiger Woods.
Il più grande campione di tutti i tempi aveva avuto un brutto incidente automobilistico nel febbraio del 2021, rischiando addirittura l’amputazione della gamba destra.
Dopo gli interventi alla schiena, al ginocchio, i ricoveri per i suoi problemi legati al sesso e ad altri acciacchi vari, Tiger è pronto per tornare in campo. Contro tutti i pronostici.
Camminare e giocare 4 ore e per quattro giorni di fila sembrava un’impresa titanica per uno nelle sue condizioni e invece Tiger c’è. Anche stavolta.
Paolo Quirici, che negli anni novanta è stato 58. nelle classifiche europee, ci parla proprio del grande campione americano.
“Il suo rientro in fondo non mi stupisce, stiamo parlando di un uomo che ha dedicato la sua vita al golf. Vista la sua situazione infortunistica lo definirei un combattente, quasi un soldato”.
Tiger ha detto che se va ad Augusta è per vincere.
“Giusto che sia così. Uno come lui deve sempre giocare per vincere e io credo che ci possa anche riuscire. Non è facile, certo, ma con Tiger nulla è impossibile”.
Ad Augusta vincono solo i più grandi. È così?
“Solitamente sì. Vincere questo torneo significa essere il più forte del mondo in quel momento. È un campo che va giocato in modo perfetto, soprattutto attorno ai green. È senza dubbio il più difficile al mondo”.
Perché Tiger piace tanto e praticamente a tutti?
“Parlare di lui è come parlare di Severiano Ballesteros negli anni 80-90. Gente che ha una presenza e una personalità dominanti, che intimoriscono l’avversario. Ballesteros era considerato un vero e proprio matador. Sono personaggi che danno sicurezza, che infondono forza e coraggio, cose di cui adesso la gente ha bisogno e in cui si identifica volentieri”.
Lei per chi tiferà?
“Io tifo sempre per gli europei, specialmente per gli italiani, visto che ho molte amicizie da quelle parti”.
Vedremo mai uno svizzero a questi livelli?
“Non è facile e i motivi sono facilmente spiegabili. Prima di tutto abbiamo pochi giovani che si avvicinano a questa disciplina. In Svizzera ci sono 100 mila giocatori di golf, ma soltanto il 4-5% hanno meno di 18 anni. In Italia siamo più meno attorno alla stessa cifra di praticanti, ma loro hanno il 30% di giovani. Se poi prendiamo la Spagna, lì è un altro mondo. Giocano in 400 mila e il 30% sono giovani. Con queste cifre è piÙ facile che esca il campione. E poi c’è ancora un altro aspetto”.
Quale?
“Il sistema scolastico, che da noi pone l’accento sull’educazione e non sullo sport. Lo sport è considerato il piano B, mentre in nazioni come l’Italia esiste solo il piano A per un atleta. Non sto a giudicare se sia giusto o sbagliato, la mia è soltanto una considerazione”.