Il tepore della sera che ammanta primavera, delle stagioni è
la ragazza. Asserragliati sul finire dei gradoni, oltre il rosso anello delle
corse, ci si appresta e il tempo andato non tormenta. Un po’ d’ammasso alla
buvette, quasi come ai giorni belli. Il vecchio Janos è tornato dall’esilio,
profumi gusta e i colori dello stadio. Bellinzona, capitale del Ticino sì, e
centro esatto del calcio di passione. Bellinzona che prepara e aspetta il ritorno
sulla vetta. Ma di fronte c’è il Breitenrain (niente da fare, non mi viene né
la rima né la metrica, ndr), che d’abdicare non ha voglia.
Intanto, bibite in viaggio, sempre un po’ pericolanti.
Il granata ingrana e sgroppa, dopo una ventina di minuti segna
e sogna. Già sfavillano le torce, un zicchino proibite ma non tanto. Janos
clicca qualche immagine e due imberbi lo svillanano e lui li manda a quel
paese. C’è tensione che un ot-doggo un po’ assopisce.
È che nel secondo tempo anche il Belli si assopisce.
Breitenrain si mangia campo e spazio e nell’incredula difesa fa uno e due. Con
la testa con i piedi i bernesi fan ciao ciao, si rilanciano al comando. Alla
fine possiam tanto ganasare, ma è perduta la partita e, chissà, fors’anche il
campionato. Ma speciem.
Sfollati disillusi ancora vagano dal Manuel, quasi quasi a
litigare su questioni cantonali, con il contrapporsi secolare tra quei di sopra
e quei di sotto, il Ceneri inteso come monte e come faglia, campanile canaglia.
Noi duemilacinquecento con la prima come marcia, voi di meno con i prezzi
ribassati.
E nel cesso infine a disquisire, oltre il telefono Gianluca
che ripete “Non si può”. E invece, certo che si può, giocare male e pure
perdere.
Janos torna in Vallemaggia con il D’oro, due granata in un
mondo in bianco e nero.