La distruzione dei laboratori prosegue con la parte seconda
di Anfield. La parte prima l’avevano assolta il giorno precedente il City e il
Real, con i giocatori a dare fuori di matto ammalando il mondo di tifo. Ma a
Liverpool hanno pensato di evolvere l’arte, affondando il Villareal, che forse
ci doveva pensare cento volte alla bontà di chiamarsi Yellow Submarine nella
città degli Immortali Scarafaggi.
Klopp l’aveva detto sei anni fa, al suo arrivo sulla Mersey: noi non prepariamo sinfonie, noi faremo heavy metal. Rullino i tamburi dalle parti di Rulli, allora, il Geronimo portiere ultimo dei baluardi da opporre alla gragnuola rossa come sabbia dei deserti.
Klopp l’aveva detto sei anni fa, al suo arrivo sulla Mersey: noi non prepariamo sinfonie, noi faremo heavy metal. Rullino i tamburi dalle parti di Rulli, allora, il Geronimo portiere ultimo dei baluardi da opporre alla gragnuola rossa come sabbia dei deserti.
Se a Manchester il guru Guardiola prova a tracciare linee
infinite come Le Corbusier, il Liverpool è graffito da strada, Banksy notturno
e provocatorio nel distillare la complessità producendo imprevisti. Lanci di
Alexander-Arnold che sembrano partire dall’oceano per arrivare sulla porta di
casa come scatolette di confetti; volate a baricentro basso di Robertson
dall’altra parte; randellate di Fabinho al centro da alternare ai pizzi di
Alcantara. Ma è davanti che si torna agli stradoni impolverati d’Africa e
Sudamerica, e del nostro passato remoto: Salah-Mané-Diaz andata e ritorno
centomila volte al giorno.
Ah, la strada, così sommersa dalla modernità travolgente,
piena di casamenti e macchine di latta e acciaio, vuota di bambini e palle. Ma
poi riappare lancinante nel tuono di Anfield, the road, con giocate così
semplici da sembrare ingenue, vedi alla voce dribbling del colombiano, che non
si perde un’occasione per andare avanti a sfidare le leggi della
compenetrazione dei corpi. Ma gli altri due compagni sono adusi da tempo
immemore ai giochini di punta e sponda, come quando in tutti i continenti
vibranti di gioventù il fuorigioco non è previsto e si va d’istinto, dal Sud
all’Est, in direzione sublimata e opposta.
Fuorigioco che dentro l’area si trasforma in una katana che
affetta ispirazioni, un po’ di qua e un po’ di là. Ma Salah e Mané se ne
impippano: tocco di punta del primo, tocco di punta del secondo, Geronimo fuori
dai tempi, palla nel sacco. Boato che la terra tremare fa, la bellezza
misteriosa e angosciante del sisma. E il laboratorio è disintegrato di nuovo.
Non smettete mai, please.