CALCIO
Raiola è morto, anzi no!
La credibilità del giornalismo subisce un brutto colpo: la notizia falsa è davvero troppo grave
Pubblicato il 28.04.2022 15:57
di L.S.
Un tweet: “Mino Raiola è morto”.
È bastato un breve tweet, su quel social chiamato twitter appena acquistato da Elon Musk per 44 miliardi di dollari, per scuotere il mondo del calcio.
Il 54.enne procuratore, in questo momento forse il più famoso al mondo, non ce l’ha fatta. Una malattia se l’è portato via.
La notizia ha fatto velocemente il giro del mondo tra tristezza e incredulità e quasi tutti i siti, anche quelli di testate molto importanti, l’hanno ripresa.
Passano pochi minuti e succede l’inverosimile. Retromarcia clamorosa, sgommata degna di un campione di formula uno.
Raiola, per fortuna, non è morto.
È vero, non sta benissimo e le sue condizioni preoccupano, ma come ha scritto il direttore di rianimazione al San Raffaele Alberto Zangrillo, Raiola “non sta bene, sta combattendo, ma è veramente incazzato, in quanto è la seconda volta che lo danno per morto”.
E Raiola cosa dice? Il manager di Ibrahimovic (che oggi si è subito fiondato all’ospedale) e di tanti altri grandi campioni, conferma le parole di Zangrillo e aggiunge: “Sono incazzato, è la seconda volta in quattro mesi che mi uccidono”.
I giornalisti hanno sbagliato? Sì, hanno sbagliato. Lo fanno spesso, soprattutto da quando ci sono i social. Conta arrivare primi, dare la notizia o lo scoop in anteprima.
Ogni tanto ci si azzecca, ogni tanto no.
Detto questo, è imbarazzante dare notizie false sulla salute di una persona. E questo senza voler fare la morale a nessuno. Ma darla per morta, senza avere la prova provata, è assolutamente immorale. E deve far vergognare.
Perché ci sta che si prendano delle topiche di mercato, fa parte del gioco. Ci sono trattative che sembrano chiuse e poi non lo sono affatto. Sopravvengono imprevisti dell’ultima ora.
Si fa una figuraccia e la si porta a casa. Ma tutto finisce lì.
In questo caso l’errore è decisamente grave. Troppo grave.
La speranza, forse remota, è che questa situazione abbia insegnato a chi ha il dovere ogni giorno di informare, a diventare più scrupolosi.
Sia che si parli di un virus, di una guerra o dello stato di salute di una persona.
Illudiamoci che sia un punto di (ri)partenza.