Esemplare la giornata del Wankdorf, una dimostrazione rara e
brillante di come il fare abbia bisogno dell’essere, di come gli steccati del
tifo crollino coinvolgendo tutti quanti nel momento in cui l’opera è fatta
scatenando la felicità, che è la sola cosa che conta davvero.
Sono caduti i campanili, anche il mio, e da un mondo
verticale ci siamo ritrovati in uno orizzontale, dove non basta più mettere
insieme dati tecnici o tattici, allestire tabelle o concretizzare le scienze,
scandire orari e misure: occorre aggiungerci la comunione delle intelligenze
emotive, o dei cuori, per immaginare un approdo in questa improvvisa pianura
libera e sconosciuta, aperta sulla vaghezza dell’orizzonte.
Tutta questa pazzesca vittoria del Lugano che siamo qua a
festeggiare non è un muro alzato pietra su pietra per arrivare in cima: è
invece posare e incastrare un ciottolo dopo l’altro per lastricare un sentiero,
sognando sì una destinazione ma non sapendo dove sia il tracciato. In momenti
così straordinari conta l’intuito, riuscire a capire se andare di là o di qua,
senza ancora scorgere nessuna terra promessa, ma solo immaginandola e
discutendone notte e giorno, passo dopo passo.
Sono mesi che il FC Lugano nella sua interezza sta posando
ciottoli, uno dopo l’altro, con le mani e gli occhi di tutti i componenti, con
le agili vedette sulle spalle di un compagno più alto e più forte per vedere
lontano, con gli esploratori che vanno avanti con un sistema di gioco da
sperimentare e tornano a dire se va bene o no, con i dottori a fare coraggio e
i dirigenti a portare bende e cerotti.
A Lugano hanno studiato e lavorato a tappe, ogni partita un
punto di rifornimento nella pianura. Ma chi poteva sapere se questa via
portasse poi alla gioia della vittoria o al burrone della sconfitta? Cosa ci
fosse oltre l’orizzonte non lo poteva scorgere nessuno, nessun calcolo o
progetto sarebbe stato affidabile se non avesse avuto dentro l’intuito, la
visionarietà, l’utopia addirittura. Il fare minuto, appunto, che ha bisogno
dell’essere assoluto, dello sguardo del cuore.
Mattia Croci Torti, l’allenatore venuto dal popolo come
nessun altro mai, ha guidato questo esodo minuzioso, prudente ma orientato,
giorno dopo giorno, ciottolo dopo ciottolo, conquistando infine l’orizzonte in
un tripudio di cuori in fiamme, con il suo che bruciava così tanto da farlo
crollare alla fine della conquista sulla panchina del Wankdorf, con un oceano
di lacrime per spegnere l’incendio da lui stesso provocato. Stanco ma
instancabile.
Per empatia, hanno pianto tutti, abbiamo pianto tutti. La costruzione
di un mondo è fatta a misura di quel che siamo, magari anche tutti assieme. Se
no che collettivo umano è?
Che roba, la bellezza.