Ma perché, perché? Perché ci sarà un mese e mezzo senza
calcio? Perché tra pochi giorni i campionati finiranno e noi saremo soli con la
bellezza beffarda dell’estate? Non voglio saperne nulla della Nations League, è
una camomilla nel solleone mentre si bramano fiumi di birre e sudore. Un anno
coi Mondiali a dicembre, in una parte di mondo dove il calcio ha lo stesso
senso del larice in spiaggia e i cammelli hanno arie da compatimento.
Non so, si giocano centinaia di giornate, quasi tutte al
gelo, moltissime coi regali di Natale in braccio o le mascherine che ci tarpano
la faccia, carnascialesche o mediche. Giornate di ombre lunghe come anni della
fame o sere illuminate dalla floscia luce dei fari e poi, sul più bello, quando
maggio canta la sua canzone di benvenuto a giugno e luglio, zacchete, il vuoto
d’orrore riempito da menate come i bagni al fiume o le escursioni in montagna,
la noia suprema dentro la quale i cattivi pensieri avviano cantieri assurdi e
rimbombano nelle teste indifese.
Invece di spedire in modo sano le genti a ai bordi dei campi
a godersi calci e discorsi, no, niente, ci mandano in giro coi bermuda e i
sandali a sbrodolarci di gelati, a non capirci nella babele di lingue del
turismo fannullone e a respirare l’odore di plastica dei canotti.
Ma neanche alla tele, che straborda di repliche di Bonanza o
di tornei di padel tra panzoni di ogni età, con musica orrenda in sottofondo e
sorrisi inventati, ma neanche alla tele ci danno due orette di diretta per una
partitina qualunque, anche da Marte.
Proprio ora che si potrebbe sudare per qualcosa di serio
come il calcio giocato e guardato, nella luce fantastica dei pomeriggi
allietati dalle cicale e dalla puzza di fortalis, i padroni universali del
calcio ci fanno smettere, ci costringono alla condizione di anime in pena con
la crema antizanzare e i cappellini della ditta, ci obbligano all’irritazione
delle costine in famiglia, ci consegnano alla depressione delle domeniche in
cui la sola cosa sensata è darsi per dispersi nelle amache, a piangere per quello
che poteva essere e non è.
Siamo
soppiantati, senza voce in capitolo. Tanto vale salutarci come tizi che vanno
allo sbaraglio il giorno delle nozze, con la malinconia dei tavoli vuoti alle
quattro del mattino di un giorno da cani e senza la palla