Ci siamo: domani si concluderà la Serie A, il massimo campionato della
vicina Penisola, che appassiona anche tanti ticinesi. La lunga volata tra le
milanesi è giunta all’epilogo, con il Milan che è entrato in vantaggio nel
rettilineo finale. Basterà? Secondo il freddo calcolo delle probabilità, sì.
Ma, ovviamente, il calcio non risponde a questo tipo di deduzioni matematiche.
Quindi, ognuno spera, a modo suo.
L’Inter ha fatto una grande stagione. Nonostante si fosse decisamente
indebolita, facendo partire i suoi due giocatori migliori, perdendo un talento
come Eriksen, il tecnico e il preparatore atletico del trionfo della passata
stagione, la compagine nerazzurra ha conquistato due trofei (Supercoppa e Coppa
Italia) ed è alla viglia della possibile conquista del titolo più ambito: un
triplete tricolore, un tripletino diciamo. La grandezza dell’impresa sarebbe
averla fatta con una squadra più debole di quella dello scorso anno, e in
rimonta finale sui rivali cittadini. Simone Inzaghi restituirebbe all’Inter ciò
che le aveva sottratto il 5 maggio 2022, vent’anni fa: insomma, una pagina di
calcio da incorniciare, al di là dell’aspetto, tutt’altro che simbolico, che
questa vittoria significherebbe anche la conquista dell’agognata seconda
stella.
A opporsi a tutto questo, il Milan. Partito da comprimario, con una rosa
profonda ma con diversi buchi in organico, ha perso per strada un giocatore
fondamentale come Kjaer, senza praticamente mai contare, in campo, su Zlatan
Ibrahimović, al netto delle decine d’infortuni muscolari della prima parte,
frutto, probabilmente, anche di un’errata preparazione fisica. Nonostante
questo, i rossoneri si presentano al fischio d’inizio dell’ultima giornata,
avanti di due punti, padroni del proprio destino. Un risultato insperato solo
tre mesi fa, con due finali possibili: l’ebrezza della vittoria o l’amarezza di
una beffa atroce, il cui sapore è peraltro ben conosciuto da chi, come noi, si
è sentito dire dall’impiegata del dicastero competente che no, non poteva più
scrivere “scuri” alla voce “colore capelli” del documento d’identità, all’atto
del rinnovo del medesimo.
Respiriamo calcio da decenni, come scrivevamo sopra, e non contiamo neppure
più le occasioni nelle quali ci siamo trovati a vivere vigilie come questa.
Però, questa volta, è diverso: sembra quasi che, dopo dieci anni dall’ultima
vittoria (con tutta la buona volontà, la Supercoppa vinta qualificandosi non da
vincitrice, ma da finalista della Coppa Italia non lo è) non si sia più pronti
a vivere queste giornate. Il sentimento prevalente da parte nostra è
l’incredulità unita, però, alla consapevolezza che un fallimento sarebbe
epocale, e avrebbe un peso molto, molto più importante di una vittoria. I
campionati si vincono tutti gli anni; ma accade solo poche volte, nella storia
di un torneo, di perderli all’ultima giornata. Non solo: c’è la sensazione che
questo gruppo abbia raggiunto, quest’anno, un equilibrio irripetibile,
nonostante tutto quanto scritto sopra. Poi c’è il fattore di aver messo alle
spalle squadre con rose più importanti, penalizzate da una stagione storta per
vari motivi. Per farla breve: la squadra che perse a Istanbul era fortissima, e
si regalò infatti la rivincita due anni più tardi. Ci fu amarezza, ovviamente:
ma unita alla sensazione che ci si sarebbe potuto riprovare in tempi brevi,
come avvenne. La sensazione, a questo giro, è invece che, se i ragazzi di Pioli
dovessero fallire l’obiettivo, difficilmente ci potranno riprovare il prossimo
anno. Ecco, sommate tutto questo, e avrete il perché non siamo più pronti per
queste cose. Oltretutto, Milano domani sarà invasa dai cugini, il Milan sarà in
trasferta, come quella maledetta domenica del 1973. Era maggio anche allora:
ma, se dovesse davvero accadere, chiuderemmo finalmente i conti con la stagione
1970/71, che fu quella della nostra prima volta a San Siro. Perché c’è la
storia del calcio, e poi la memoria del tifoso. Selettiva, implacabile. Ecco,
domani un’eventuale vittoria potrà cicatrizzare una ferita che sanguina da più
di mezzo secolo; oppure, se ne aprirà un’altra. Ma siccome non sarebbe l’unica,
tireremo avanti: perché il bello del tifo e che si guarda sempre alla stagione
successiva. E non si smette mai di sperarci, sotto sotto, come ben sa anche il
direttore