Calcio
È la vittoria di Mou
Il portoghese compie l'impresa e riporta in Italia un trofeo internazionale
Pubblicato il 26.05.2022 08:47
di Silvano Pulga
José Mourinho ce l'ha fatta: Il suo ritorno in Italia ha coinciso infatti con una vittoria europea, la prima in Italia dal 2010. E a vincere, manco a dirlo, era stato lui, con l'Inter. Per il portoghese, dal punto di vista statistico, è il quinto trofeo europeo in carriera. Non solo: il tecnico della Roma è il solo che possa vantare una vittoria in tutte le competizioni europee attualmente in essere. Un'altra curiosità: Mourinho è il terzo allenatore, con Trapattoni e Ferguson, ad aver vinto una Coppa europea in tre decadi diverse (Porto 2004, Manchester Uniter 2017, e, appunto, Roma nel 2022).
 
Per quanto riguarda la Roma, il club capitolino è tornato a vincere un trofeo oltre confine dopo 61 anni (il precedente era la Coppa delle Fiere, antenata dell'attuale Europa League, nel 1961, anno del Centenario dell'Italia). In questo arco di tempo, i giallorossi avevano giocato altre due finali (all'Olimpico nel 1984 quella di Coppa Campioni, dove s'inchinarono al Liverpool, e in Coppa UEFA nel 1991, dove furono sconfitti dall'Inter in un derby tricolore). Questi, i numeri. Che servono a inquadrare storicamente gli avvenimenti, che vanno poi analizzati.
 
Innanzitutto, ancora una volta, il portoghese ha saputo trovare gli stimoli giusti per portare un gruppo alla vittoria in una competizione all'esordio, e sicuramente non prestigiosa come la Champions League. Non era facile: il fatto che si giochi di giovedì, per esigenze televisive, crea non pochi problemi organizzativi, anche a squadre di livello elevato, e che possono contare su una logistica di primordine. Non solo: questo torneo viene giocato in prevalenza da squadre di federazioni di seconda fascia, a volte lontane da grandi centri. Quindi, oltre al dover giocare di giovedì, c'è anche la problematica delle trasferte scomode. Vero che l'attuale gestione, molto elastica per la gestione televisiva, della Serie A, consente di rinviare le partite magari al lunedì sera. E questo, probabilmente, ha aiutato molto. Aggiungiamoci anche che l'andamento deludente in campionato ha consentito ai giallorossi di concentrarsi sulla competizione, dove c'erano possibilità di arrivare in fondo, ed ecco (forse) svelato il segreto di questa vittoria, passata anche attraverso disfatte (rimediabili, per fortuna dei romanisti) come il rovescio autunnale per mano del Bodø/Glimt, del quale abbiamo già scritto nelle scorse settimane.
 
Cosa resterà di questa vittoria, a parte i festeggiamenti? Forse, una constatazione un po' amara per il calcio della vicina Penisola: quest'affermazione fotografa il livello di competitività internazionale della Serie A. Le maggiori squadre italiane sono uscite mestamente dalla Champions, due nella fase a gironi e le migliori agli ottavi, in maniera abbastanza netta, più che altro (e forse è il dato peggiore) sul piano del gioco. Anche in Europa League le italiane non sono andate oltre i quarti di finale con l'Atalanta, che arrivava dai gironi di Champions. Il Napoli, nei sedicesimi, dopo aver fatto benissimo a Barcellona all'andata, è stato poi affondato nel ritorno dai catalani, subendo una vera e propria lezione di calcio. Lazio, non pervenuta.
 
Si è detto, da parte di alcuni commentatori, della necessità, per il calcio italiano, di provare a concentrarsi nelle coppe minori, vista l'impossibilità di essere competitivi in Champions League. Mourinho ha seguito le indicazioni. Gli altri non ce l'hanno fatta; ma, del resto, è estremamente difficile riuscire a mantenere la concentrazione elevata quando ti trovi a doverti battere per i primi posti in campionato e nelle fasi a eliminazione diretta di un torneo che si gioca il giovedì sera. Per farlo, ci vogliono mentalità, preparazione fisica, energie: tutte cose che il calcio italiano, in questo periodo, non è in grado di esprimere. E non è un caso che a prevalere sia stata la Roma, fuori dai giochi che contano in campionato da tempo, e nella competizione dal tasso tecnico minore. Ecco, questo dato, unito a quello del calo d'interesse per la Serie A, certificato dai dati delle pay TV (al di là dell'aspetto legato agli abbonamenti con la possibilità di più collegamenti, che nascondono probabilmente numeri diversi), deve far riflettere. Il calcio è fatto anche di sogni: e numeri come quelli del contratti di Mbappé fanno smettere tutti quanti di sognare, fermo restando che, sinora, questi investimenti non hanno portato a far vincere il trofeo che conta, la Coppa con le orecchie, a chi li ha fatti. Ma senza sogni, il calcio (perlomeno quello italiano) non avrà un futuro roseo. Mettiamoci anche la possibilità di fruire molto più facilmente del calcio estero: molti ragazzi, in Ticino e altrove, tifano per squadre inglesi, pur avendo Milano a un'ora di macchina, che era la destinazione delle generazioni che li hanno preceduti. Ma non solo: ci sono anche coetanei italiani che lo fanno, e guardano con distacco i festeggiamenti dei padri per lo scudetto. Accade in casa nostra, con nostra figlia che tifa Bayern. Però, ha la scusante di essere nata in Germania, di avere un genitore rossonero e l'altra nerazzurra, e di non voler scontentare nessuno. Ma i suoi compagni di scuola che tifano Liverpool, Barcellona, Manchester, sono nati in Italia. E guardano la squadra del cuore in lotta per vincere la Champions League, volgendo uno sguardo di compatimento agli amici che festeggiano lo scudetto o, addirittura, la Coppa Italia. Che i loro padri, nati nel secolo scorso, non consideravano neppure un premio di consolazione. Signora mia, che tempi.