CALCIO
La catastrofe dello Stade de France
Incidenti prima della finale di Champions: si è rischiato un altro Heysel
Pubblicato il 30.05.2022 07:48
di Giorgio Genetelli
Siamo davvero lontani, troppo lontani. Non bastasse la distanza fisica, c’è anche l’allontanamento mediatico, che spesso scambiamo per vicinanza e invece è uno strappo con spinta oltre i Bastioni di Orione. Media, medium: collegamento tra due entità. La partita e chi la guarda con il televisore, in mezzo, medio, il cronista. A supervisionare questa comunicazione asessuata, gli organizzatori, quelli che si gonfiano le tasche con i soldi e la gloria.
La finale di Champions allo Stade de France è stata un disastro, mettendo i brividi in un’attesa incomprensibile e ansiosa come quella che pervase la diretta dell’Heysel il 29 maggio del 1985. Anche allora su un divano, mediatizzazione pressoché analogica di quella che poi sarebbe stata una tragedia immane (39 morti e 600 feriti). Anche sabato, divano e notizie confuse, orario procrastinato e la sensazione che l’organizzazione fosse piombata nel caos. In entrambi i casi c’erano il Liverpool e i suoi tifosi. In Belgio fu un buco nero di morte e cinismo, a Parigi è andata in modo meno cruento, ma solo per fortuna. Con tutti quei tifosi che non potevano entrare allo stadio sarebbe bastato qualche gesto di violenza per scatenare il panico e veder risorgere l’orrore. Ebbene, la mediatizzazione spinta cosa ha fatto? Niente. Poche immagini dell’esterno (per nascondere le inadeguatezze del servizio di sicurezza e di chi lo ha organizzato), occhio fisso all’interno dello Stade de France (che nome pomposo, che esagerazione per un posto inaccessibile) per ipnotizzare i fans a casa, cronisti disorientati.
Si è visto a occhio nudo, anche senza l’aiuto dei media – che peraltro non sono stati in grado di rimandarci nelle case i disagi dei cuori – che i giocatori del Liverpool erano abbacinati da un ricordo che non avevano, o meglio, che avevano solo tramite i media pervasivi che ci portano le guerre in casa, senza pietà.
Così, una squadra fortissima, più forte dell’altra, ha perso la partita come se avesse un pegno da pagare alla storia e alla fine tutti a glorificare la tempra del Real – che comunque è innocente e ha fatto il suo – senza che all’Uefa sorgesse nemmeno un piccolo dubbio sulle sue incapacità, sul suo camminare sull’orlo del burrone.
Un evento mediatico seguito in diretta da cento paesi, da miliardi di telespettatori e cifre d’affari che rasentano il prodotto interno lordo del pianeta Terra. Rovinato.
Cosa può fare l’entità casalinga, cioè noi telespettatori, messa in contatto con questo bordello dalla dittatura mediatica controllata dai predatori dell’Uefa? Spegnere il televisore, tanto quella non è stata una partita, ma un macello che resterà negli annali, meno dolorosa ma altrettanto sconcertante di quella dell’Heysel.