Siamo davvero lontani, troppo lontani. Non bastasse la
distanza fisica, c’è anche l’allontanamento mediatico, che spesso scambiamo per
vicinanza e invece è uno strappo con spinta oltre i Bastioni di Orione. Media,
medium: collegamento tra due entità. La partita e chi la guarda con il
televisore, in mezzo, medio, il cronista. A supervisionare questa comunicazione
asessuata, gli organizzatori, quelli che si gonfiano le tasche con i soldi e la
gloria.
La finale di Champions allo Stade de France è stata un disastro,
mettendo i brividi in un’attesa incomprensibile e ansiosa come quella che
pervase la diretta dell’Heysel il 29 maggio del 1985. Anche allora su un
divano, mediatizzazione pressoché analogica di quella che poi sarebbe stata una
tragedia immane (39 morti e 600 feriti). Anche sabato, divano e notizie
confuse, orario procrastinato e la sensazione che l’organizzazione fosse
piombata nel caos. In entrambi i casi c’erano il Liverpool e i suoi tifosi. In
Belgio fu un buco nero di morte e cinismo, a Parigi è andata in modo meno
cruento, ma solo per fortuna. Con tutti quei tifosi che non potevano entrare
allo stadio sarebbe bastato qualche gesto di violenza per scatenare il panico e
veder risorgere l’orrore. Ebbene, la mediatizzazione spinta cosa ha fatto?
Niente. Poche immagini dell’esterno (per nascondere le inadeguatezze del
servizio di sicurezza e di chi lo ha organizzato), occhio fisso all’interno
dello Stade de France (che nome pomposo, che esagerazione per un posto
inaccessibile) per ipnotizzare i fans a casa, cronisti disorientati.
Si è visto a occhio nudo, anche senza l’aiuto dei media –
che peraltro non sono stati in grado di rimandarci nelle case i disagi dei
cuori – che i giocatori del Liverpool erano abbacinati da un ricordo che non
avevano, o meglio, che avevano solo tramite i media pervasivi che ci portano le
guerre in casa, senza pietà.
Così, una squadra fortissima, più forte dell’altra, ha perso
la partita come se avesse un pegno da pagare alla storia e alla fine tutti a
glorificare la tempra del Real – che comunque è innocente e ha fatto il suo –
senza che all’Uefa sorgesse nemmeno un piccolo dubbio sulle sue incapacità, sul
suo camminare sull’orlo del burrone.
Un evento mediatico seguito in diretta da cento paesi, da
miliardi di telespettatori e cifre d’affari che rasentano il prodotto interno
lordo del pianeta Terra. Rovinato.
Cosa può fare l’entità casalinga, cioè noi telespettatori,
messa in contatto con questo bordello dalla dittatura mediatica controllata dai
predatori dell’Uefa? Spegnere il televisore, tanto quella non è stata una
partita, ma un macello che resterà negli annali, meno dolorosa ma altrettanto
sconcertante di quella dell’Heysel.