CALCIO
"Il calcio svizzero è come un porto e gli svizzeri sono un po' tedeschi"
Guillermo Abascal, in vacanza in Spagna, si è confessato al giornale sportivo AS
Pubblicato il 08.06.2022 22:25
di Red.
Guillermo Abascal è in vacanza in Spagna, nella sua Siviglia.
Dopo il suo interinato alla guida del Basilea, il 33.enne tecnico spagnolo, ex di Chiasso e Lugano, allenerà la prossima stagione l’Under 21 renana. Ad allenare la prima squadra ci sarà Alex Frei, recentemente promosso in Super League con il Winterthur.
Abascal ha approfittato di questi giorni nella penisola iberica per rilasciare un’intervista al giornale sportivo AS, che riassumiamo qui sotto.
Dopo aver parlato del suo passato di giovane calciatore al Barcellona, nella rinomata Masia, Abascal ha spiegato perché ha lasciato il calcio a soli 18 anni.
“Non ho avuto nessun infortunio. Quando esci dal Barcellona c’è uno choc culturale con tutto ciò che ti circonda e a livello calcistico tutto cambia. Quando tornai a Siviglia trovai una realtà diversa da quella del Barcellona, in cui era importante soprattutto il coraggio e l’aggressività. Io arrivavo da una mentalità opposta e non avevo più voglia di giocare. Andavo agli allenamenti svogliato e durante le partite passavo più tempo a parlare che a giocare. In quel periodo fui allenato da tecnici che non avevano risposte alle mie domande. O addirittura ero io ad aver più risposte di loro. Così decisi di smettere ma sapevo che il calcio sarebbe rimasta la mia passione”.
Come fece ad andare in Svizzera?
“La “cantera” del Siviglia non mi dava abbastanza per vivere, così montai una accademia con alcuni allenatori del Siviglia e del Betis. Un intermediario che aveva già portato giocatori dall’Italia, aveva buoni rapporti con il Chiasso. Mi chiese se fossi interessato e firmai. Feci bene a Chiasso e da lì passai al Lugano”.
Com’è il calcio svizzero?
“La Svizzera è come un porto. Hanno un prodotto nazionale che fanno crescere molto bene grazie alle accademie, buone strutture e centri sportivi. Dividono le squadre in Cantoni e le squadre investono molto. È un calcio che ha delle influenze, grazie ai giocatori serbi, kosovari, croati e albanesi che sono nati in Svizzera ma che mantengono le caratteristiche dei giocatori balcanici. Dico che è un porto perché si nutre dei giocatori che stanno attorno”.
È un paese “freddo” per il calcio?
“Io ho avuto la fortuna di lavorare a Basilea, che forse è la città meno Svizzera a livello calcistico. Nello stadio si vive un ambiente più simile a quello inglese o spagnolo. In Svizzera però lo sport principale è l’hockey e soprattutto a Lugano avevamo 2’000 persone a vedere il calcio e 8'000 l’hockey. Adesso per la finale in trasferta di Coppa però si sono spostati quasi diecimila persone…”.
Quanti giocatori ha allenato che adesso sono in nazionale?
“C’è Fabian Frei e ultimamente anche Mattia Bottani, che a 31 anni è alla sua prima convocazione. È un grande talento, un centrocampista rapido e tecnico. Ha fatto una grande stagione a Lugano e ha vinto pure la Coppa”.
A parte Rodriguez, Xhaka e Shaqiri, che si conoscono da tempo, chi le piace particolarmente?
“Lo dissi già quando aveva 18 anni: mi piace Ruben Vargas. È in Bundesliga e sono sicuro che farà altri progressi. È un esterno che sa giocare sulle due fasce, che va nello spazio e spacca le difese. Poi ci sono Zakaria e Embolo, che si sono già confermati. È una nazionale che in questi anni ha lavorato molto bene: se è vero che un ciclo sta per finire, è anche vero che i sostituti sembrano decisamente all’altezza”.
Lavorano bene alla base?
“Hanno un metodo differente a quello spagnolo: è centralizzato a livello di federazione, in cui crescono i giovani. Non tutti i club hanno il loro settore giovanile. Io avevo giovani giocatori che ogni tre mesi dovevano sostenere test fisici con la federazione, che si incarica di allestire un piano personale per questi ragazzi”.
Com’è visto un allenatore spagnolo in Svizzera?
“Lo svizzero è molto svizzero ma è anche un po’ tedesco e la lingua per loro è molto importante. I tecnici spagnoli sono ben visti e io ho avuto un ottimo feeling con il Basilea, però a livello di media hanno bisogno di parlare nella loro lingua. Io parlo italiano, che è una delle lingue che si parla in Svizzera, ma a Basilea non la dominano. È un limite che rispetto perché è il loro modo di comunicare. Ci sono allenatori che portano il loro traduttore, io però ho deciso di parlare in prima persona. Ci sono due barriere linguistiche: quelle con i giocatori, con cui però non ho avuto problema e come detto, quello dei mezzi di comunicazione”.
Qual è il suo piano di carriera adesso?
“Ho ancora due anni di contratto con il Basilea. Mi piacerebbe poter iniziare una volta con un progetto a inizio stagione. Il Lugano lo presi nelle ultime otto partite, ad Ascoli sono subentrato due volte in corsa e adesso a Basilea è successo la stessa cosa. Ora comincerò con la seconda squadra e intanto studierò il tedesco. L’obiettivo è poter tornare un giorno ad allenare la prima squadra del Basilea, che ora ha messo sotto contratto Alex Frei, ex grande giocatore e una leggenda da queste parti. In Svizzera sto bene però un giorno spero di poter tornare in Spagna: sono certo di essere pronto per poter fare un buon lavoro…”.
(Guillermo Abascal, nella foto Putzu)