Dove va ad
allenare Stefano Maccoppi c’è sempre la vittoria della professionalità. E anche
dell’umiltà. L’ex rossoblù (Chiasso ultima stazione ticinese in panchina)
alcune settimane fa aveva accettato e affrontato con grande coraggio una sfida
degna della saga cinematografica che ha avuto in Tom Cruise il grande
protagonista. La missione era veramente di quelle impossibili, salvare dalla retrocessione
la formazione del Tsrasko Selo di Sofia che militava in serie A. Militava,
appunto, perché nonostante i bulgari siano scesi in campo con la rabbia in
corpo mostrando di essere meritevoli di mantenere la categoria l’impresa è
stata solo sfiorata dal tecnico milanese che è comunque riuscito a trasmettere
il suo credo calcistico a una squadra che si è battuta sino all’ultima giornata
con grande furore agonistico.
Stefano sino
a settimana scorsa era tra i candidati alla panchina del Bellinzona, qualcuno
lo aveva dato in pole position, lui ovviamente ci sperava tanto.
L’interessamento della società granata, ci aveva confidato alcuni giorni fa,
era il massimo che si era augurato, in quanto desideroso di tornare a lavorare
in una squadra e in un club galvanizzati dall’entusiasmo per la promozione in
Challenge League. Le cose sono andate diversamente, ma rimane viva in lui la
speranza che gli si possano aprire di nuovo le porte da qualche altra parte,
comprese quelle del calcio giovanile che è praticamente sempre stato un suo
autorevole biglietto da visita, soprattutto in Romandia. Intanto, in attesa di
news (nel calcio cambia tutto e in fretta), gli chiediamo di fare il punto sul
suo ‘periodo bulgaro’ che ha vissuto con legittimo orgoglio ma anche con
sacrifici personali non indifferenti.
L’operazione
salvezza purtroppo non è riuscita: sei rammaricato?
“La sfida
era molto difficile, però abbiamo fatto sì che ce la giocassimo sino alla fine.
Sono dispiaciuto perché si era creato un bel gruppo di giocatori che strada
facendo, grazie anche ai risultati, si sono cementati alla grande. Oltretutto
nei Playout siamo risultati la squadra che ha fatto più punti, i ragazzi sono
stati veramente bravi”.
Vi sono
venuti a mancare tanti punti?
“Neanche uno!
Sono stati gli scontri diretti che ci hanno condannato”.
È stata per
davvero una sfida:
“Beh, mi
sono sempre piaciute molto le sfide impossibili! Che lo fosse anche in Bulgaria
l’avevo intuito già al momento in cui mi era stata proposta questa avventura.
Siamo partiti da – 11 punti con due partite contro CSKA e Ludogorets che
praticamente ci potevano ammazzare subito. Invece le abbiamo pareggiate e da lì
via è stata una cavalcata superlativa sino alla penultima giornata dove abbiamo
raggiunto a parità di punti i nostri avversari diretti del Botev. La salvezza ce
la siamo dapprima giocata in casa loro, purtroppo non siamo riusciti a batterli.
Saremmo però retrocessi anche vincendo il retour-match in virtù del vantaggio che
loro avevano acquisito negli scontri diretti”.
Un’esperienza
che ti ha comunque arricchito:
“Moltissimo,
ogni esperienza mi porta a un arricchimento non solo in ambito calcistico ma
anche a livello umano e culturale. Sono in una fase della mia carriera in cui
ho acquisito molte conoscenze nelle gestioni di campo”.
Sotto
quali aspetti?
“Sicuramente
nella conduzione delle risorse umane e nelle tensioni che un allenatore deve
prendersi evitando di riversarle sul gruppo”.
Puoi
farci un esempio per capire bene?
“La prima
settimana c’erano giocatori che tra loro si odiavano. È il termine esatto! Incredibile
come si percepivano queste tensioni e quanto peso avessero”.
Come è
finita?
“Durante la
serata che ci ha riuniti tutti insieme per salutarci è scaturita la vera
essenza che nel calcio, e nello sport in generale, i rapporti rimangono e
saranno poi quelli che ognuno si porterà dietro con sé”.
Veniamo
in Svizzera. Sappiamo che hai sempre avuto un occhio di riguardo per i club
della Svizzera francese: sorpreso dei cambi di panchina a Yverdon, Stade
Losanna, Nyon e Vevey?
“Ormai sono
all’ordine del giorno, non ci faccio più caso. Una società dovrebbe tuttavia essere
bene in chiaro sul percorso che vuole fare con il proprio allenatore, quale
crescita intende intraprendere e perché sceglie un determinato mister invece
che un altro. A volte ci si azzecca, a volte no. Succede anche a noi! Ci sono
allenatori che vanno bene in quella squadra piuttosto che in un’altra: siamo
esseri umani, non macchine!”.
I giochi sono
fatti un po’ ovunque, ma questo non esclude che qualche porta si possa riaprire
in corso di stagione: fiducioso?
“Mi
piacerebbe molto tornare a cavalcare la scena elvetica, se del caso anche nella
Svizzera interna. Da voi si lavora molto bene nei Settori giovanili, i giovani
hanno sicuramente contribuito ad innalzare il livello dei vari campionati. Non
ci sono in effetti più grandi differenze con le realtà di altri Paesi, anche di
quelli che vanno per la maggiore. Tanto di cappello alla Swiss Football League
e all’ASF”.