Il 30
giugno dovrebbe essere il giorno dell'annuncio ufficiale del ritorno di Lukaku
all'Inter: non proprio un'operazione gratuita, come qualcuno crede (o ha voluto
far credere), ma un giochino che ai nerazzurri milanesi, tra prestito oneroso,
eventuali bonus e ingaggio al giocatore, potrebbe pesare sulle casse del club
una ventina di milioni di franchi circa. In ogni caso, se l'investimento
porterà alla vittoria del ventesimo scudetto, si tratta evidentemente di un
affare. E, in fondo, non sono i tifosi a dover pagare direttamente.
Ovviamente, è presto per
parlare di questioni tattiche: siamo solo a giugno, la squadra è lungi
dall'essere costruita. Le pedine mancanti (o quelle che mancheranno: sembrano
inevitabili una o due partenze di peso) rendono difficile fare delle
supposizioni. Quindi, quello che proveremo a fare sarà solo un divertissement,
come dicono a Ginevra.
Lukau viene da una
stagione tormentata, dopo le dichiarazioni d'amore al Chelsea dello scorso
anno, che hanno fatto adombrare i tifosi interisti più romantici, facendo
scrivere anche il direttivo della Curva Nord, l'ala più calda del tifo
nerazzurro. Quelli più pragmatici si sono semplicemente limitati a prendere
atto che, ormai, le bandiere non esistono più, e che il giocatore, se ripeterà quanto
fatto vedere nei suoi due anni a Milano, potrebbe essere in grado di spostare
gli equilibri. Perché, in fondo, vincere il campionato è meglio che arrivare
secondi, pur con la consolazione della Coppa Italia e della Supercoppa. E
allora, proviamo a vedere quale potrebbe essere la collocazione tattica del
giocatore, negli schemi che, nella stagione scorsa, ci ha fatto vedere Inzaghi.
Premessa: il gioco
dell'Inter, nella gestione Inzaghi, è stato molto più bello da vedere di quello
mostrato negli anni di Conte. La gestione della palla, in particolare, è stato
il punto forte dei milanesi edizione 2021/22. Merito, anche, della mobilità dei
due attaccanti nel 3-5-2, i quali spesso si sganciavano dalla zona offensiva
per aiutare i compagni a centrocampo o sulle fasce per dare ausilio ai
centrocampisti nella costruzione del gioco, dando così spesso superiorità
numerica ai nerazzurri in questa zona nevralgica del campo. Tutt'altro rispetto
al gioco di Conte che, molti, hanno semplificato (anche troppo, a dire il vero)
in un "palla lunga a Lukaku, e vediamo cosa succede." Per Conte,
infatti, l'attaccante deve stare vicino alla porta, al limite dell'area, pronto
ad attaccare la profondità, per cercare la conclusione. E, diciamolo, i
risultati (almeno in Italia: ma non dobbiamo dimenticare una finale di Europa
League raggiunta, seppure in un'edizione con l'asterisco, causa Covid) gli
hanno dato ragione.
A Londra, Lukaku giocava
in 3-4-2-1, che privilegiava il possesso palla e il baricentro alto: non facile
per uno come il belga, che ama invece gli spazi, dove può far valere la sua
formidabile potenza fisica, nelle sue progressioni devastanti palla al
piede.
In
definitiva, pensiamo che vedremo, nella prossima stagione, un'Inter diversa.
Džeko, sul piede di partenza come altri (il suo ingaggio è sproporzionato
rispetto ai parametri imposti dalla proprietà), lo scorso anno, con Inzaghi, ha
segnato 17 reti totali nelle varie competizioni, e fatto (dettaglio non da
poco) 10 assist. Il belga, di passaggi decisivi, ne ha fatto solo 2, a
differenza dei 10 in maglia nerazzurra l'anno prima. Però, negli schemi di
Conte. Insomma, Inzaghi avrà molto da lavorare: perché bisognerà non solo
ragionare solo successi di Lukaku in maglia nerazzurra, ma sui perché del
fallimento inglese dello scorso anno. Poi si può ovviamente pensare, come fanno
tanti, che la responsabilità dello scarso rendimento londinese del fuoriclasse
belga sia stata di Tuchel, del suo brutto carattere e del mitico boccino
utilizzato negli allenamenti.