Marc Hirschi non andrà al Tour de France, la sua squadra non
l’ha convocato (è la UAE guidata da Mauro Gianetti, semplificando le cariche).
Nel 2020 correva ancora per la Sunweb e nel Tour di quell’anno si mostrò al
mondo con tecnica coraggio fughe e vittorie, insignito anche con il Premio
della Combattività. Si piazzò terzo al Mondiale di Imola. Tanto fulgore da
divenire oggetto di mercato, finendo appunto alla UAE dove già brillava la
stella assoluta di Pogacar. Come dire che dall’Aston Villa passi al Manchester,
City o United che sia. Un salto di qualità che può portare a due scenari:
diventi una star o finisci in panchina. Hirschi è scivolato subito nel ruolo di
gregario, indi portaacqua di lusso e infine delusione, che l’amico Stefano
Ferrando mi ha giustificato con le occasioni perse quando era leader designato
di qualche corsa. Quest’anno spicca, ma neanche tanto, un nono posto alla Liegi
(sempre nel brillante 2020 fu secondo), e poi due vittorie in corsette
regionali.
Due anni di delusioni, sia sue che dei tifosi.
Anonimo e sbiadito, che sono il peggio in un mondo
spettacolare e luccicante. Come nell’ultimo Tour de Suisse, senza un solo lampo
e poi bloccato anche dal covid. Hirschi ha rinunciato anche ai campionati
svizzeri e dunque dal primo di luglio starà a guardare gli altri che godranno delle
fatiche e della gloria alla Grande Boucle.
Dal mio punto di vista, l’appassionato da divano con la bici
bucata in garage, e quindi un quasi nulla, ho un dubbio che mi arrovella e
pongo dunque una domanda: Hirschi, che ha talento da vendere, si è montato la
testa o è stato gestito male dalla sua supersquadra? Se nessuno mi darà una
risposta, me la cercherò da solo.