CALCIO
"Chi mi conosce sa che voglio sempre vincere..."
L'uomo forte dell'AC Bellinzona parla a 360 gradi del suo lavoro e delle ambizioni dei granata
Pubblicato il 10.07.2022 03:17
di L.S.
Pablo Bentancur, 54 anni, nato in Perù e cresciuto in Uruguay, è un famoso procuratore. Manager di calciatori, alcuni dei quali famosissimi, da qualche anno è diventato un protagonista del nostro calcio.
Trasferitosi in Ticino una decina d’anni fa, Pablo ha contribuito prima alla promozione del Lugano in Super League, assieme al presidentissimo Angelo Renzetti e qualche settimana fa ha riportato il Bellinzona in Challenge League. Un exploit non da poco.
Lui però precisa che “do soltanto una mano a livello sportivo, della società si occupa mio figlio, che per il Bellinzona lavora tantissimo. E poi c’è Gabriele Gilardi che invece gestisce l’aspetto burocratico e amministrativo del club”.
Un Bellinzona che cresce passo dopo passo e il mercato che sta facendo dimostra le ambizioni della dirigenza e fa sognare i tifosi, che dopo tanti anni di anonimato hanno voglia di tornare a respirare l’aria del calcio che conta.
Bentancur, perché proprio il Ticino?
“Dopo 25 anni in cui ho fatto il giro del mondo per il calcio, ho trovato in Ticino un posto unico in cui vivere. Chi dice il contrario non conosce realmente l’Africa, l’Oceania, il Sudamerica o il Centroamerica. Una cosa è fare una gita turistica, un’altra è viaggiare per lavoro, dove si impara a conoscere la realtà del paese. Il Ticino per me è tranquillità e sicurezza”.
Quando ha capito che il calcio sarebbe stata la sua vita?
“Il calcio per me è tutto, non so fare nient’altro. Non è facile lavorare in un ambiente in cui gli altri si divertono. Il calcio è un posto in cui tutti pensano di essere “specialisti” e pochi sono i vincitori. Non sono orgoglioso tanto dei miei successi sportivi e economici, ma quanto per i miei inizi in Sudamerica, che non sono stati facili. Adesso posso lavorare con grandi club europei, che si fidano di me e riconoscono ciò che ho fatto nel calcio. Era qualcosa di impensabile quando ho cominciato…”.
E l’esperienza a Lugano in che modo è stata importante?
“È stata fondamentale, il mio apprendistato nel calcio svizzero. Arrivai senza conoscere nulla e quando iniziammo la stagione eravamo quasi ultimi. Mi spaventai della discrepanza che c’era tra la Svizzera, nazione ricca e organizzata e il suo calcio, davvero poco professionale. E poi mi accorsi della rivalità che c’era tra i ticinesi per le loro squadre. A volte un po’ esagerata e nociva per la crescita del calcio di questo Cantone”.
Di Renzetti cosa ricorda?
“Abbiamo lavorato assieme e siamo arrivati a un gran risultato. Ricordo ancora adesso con emozione quando mi prese la mano a Cornaredo, nel giorno della festa per la promozione e ricevetti l’applauso della gente. Più che gli applausi, che fanno sempre piacere, rimasi soprattutto contento quando Angelo disse che ero uno dal grande temperamento e che avevo portato professionalità nel club. Avevo lavorato molto a Lugano, è vero, ma imparai ancora di più. Fu davvero una grande esperienza”.
Lei e Raiola stavate per comprare il club.
“Adesso parlare di Raiola è facile e sicuramente in futuro la sua popolarità crescerà ancora. Per me fu un onore quando Mino volle comprare il Lugano assieme a me: avevamo in mente un progetto vincente che purtroppo non abbiamo potuto realizzare. Riconosco che Renzetti ha poi fatto un bel lavoro e adesso la nuova dirigenza ha assicurato una base solida per il futuro del club. Sono contento che il Lugano sia finito in buone mani”.
Lei ha fatto tantissimi trasferimenti, alcuni addirittura milionari: cosa significa arrivare a questi livelli?
“Non misuro i trasferimenti a livello economico o per quanta pubblicità creano. Per me è più soddisfacente prendere un ragazzo umile, aiutarlo a fare una carriera da professionista e vederlo crescere come uomo”.
Con Lei a Bellinzona c’è suo figlio Pablito che sta guidando la società.
“Mio figlio è un po’ diverso da me: per fortuna è un ragazzo riflessivo e umile. È capace di avere buoni rapporti con i giocatori ed essendo giovane riesce a parlare il loro stesso linguaggio. Ha capito che un dirigente ci dev’essere soprattutto quando un giocatore ha problemi fisici, legali o famigliari. Quando invece va bene non dobbiamo “rubargli” la scena”.
Con l’Avvocato Gabriele Gilardi, ex direttore sportivo del Locarno e ora amministratore unico del club, avete trovato la persona che mancava, vero?
“Gabriele è il nostro bomber. Lo conobbi durante un’udienza in cui eravamo rivali e capii il suo potenziale. È un vero maestro nel gestire un club professionista. È una grande fortuna averlo con noi”.
È vero che lavorare a Bellinzona non è stato facile, almeno all’inizio?
“Sì, è così. Se a Lugano il rapporto con Renzetti fu più facile, in quanto mi lasciò lavorare in tutta tranquillità, qui a Bellinzona ho sentito una sfiducia iniziale. Ora vedo che le cose stanno cambiando, che i tifosi stanno capendo che vogliamo il bene della squadra e che siamo intenzionati a portare in alto i colori granata. Purtroppo quando sono arrivato ho avuto a che fare con personaggi che erano nel Bellinzona soltanto per protagonismo, senza possedere reali conoscenze del calcio”.
L’anno scorso avete vinto cambiando tre allenatori: un po’ strano, no?
“Chi lavora qui deve capire che qui si viene a vincere il campionato e che il calcio è cambiato profondamente in questi anni. Gli staff sono più numerosi e tutti usano la tecnologia. Ci sono applicazioni, GPS e match analyst: bisogna restare al passo con i tempi”.
Cosa risponde a chi dice che la società è ancora “amatoriale” e che dev’essere meglio strutturata?
“Chi dice queste cose si riferisce al “personale da scrivania”, come lo chiamo io. Però la gente non sa che per la prima volta abbiamo l’appoggio totale dell’ospedale di Bellinzona e della clinica di fisioterapia Rehability di Lugano. In più abbiamo il dottor Bernasconi sempre disponibile, due preparatori fisici, due fisioterapisti, tre assistenti allenatori e un match-analyst. Preferisco spendere per i giocatori e per chi lavora sul campo, diversamente da ciò che fanno a Chiasso”.
La passione in città sta tornando: se ne rende conto?
“Assolutamente sì. È una città che mi appassiona, stiamo parlando di tifosi che hanno sofferto tanto e adesso stanno tornando a gioire per il calcio. Il premio più grande per me sarebbe vedere il Comunale pieno”.
A questo proposito avete fatto un grande mercato: dove volete arrivare?
“Chi mi conosce sa bene qual è il nostro obiettivo. La cosa più importante è che la squadra dia sempre tutto sul campo e che la gente esca soddisfatta dallo stadio. Voglio che per gli avversari, giocare al Comunale sia un piccolo incubo”.
Domani arriva il Monza: sarà una bella giornata di festa.
“Sono contento di avere al Comunale il Monza dell’amico Galliani, così come fu bello andare a vedere un derby con Murat Yakin. Sono un uomo di calcio e per me queste amicizie e questi incontri sono all’ordine del giorno”.
Grazie per questa intervista, che nasconde una piccola promessa che ora possiamo svelare.
“Sapete che non amo parlare né fare interviste, ma vi avevo promesso che nel caso fossimo stati promossi, ma soltanto vincendo il campionato, l’avremmo fatta. E come vedete sono stato di parola…”.
Grazie Pablo, buon lavoro.