FORMULA 1
Ferrari, tra fumo e... arrosto
La rossa di Sainz si incendia, mentre Leclerc vince e mette così fine alle "polemiche"
Pubblicato il 11.07.2022 09:38
di Silvano Pulga
Al termine del gran Premio d’Austria, mentre tornavamo alla visione del Tour de France, ieri di passaggio in Svizzera, abbiamo riflettuto su due aspetti della situazione attuale. Il primo: la Ferrari, in questo momento, in determinate condizioni di gara, è la macchina più forte, e Leclerc un pilota ormai maturo per poter ambire a grandi traguardi. Dopo Silverstone, infatti, sarebbe stato facile avere reazioni forti nei confronti dei vertici sportivi del team. Che ci saranno sicuramente state, immaginiamo; ma che il pilota ha saputo non far trapelare in modo clamoroso all’esterno, in un momento dove la stampa sportiva, soprattutto quella della vicina Penisola, non aspettava altro. L’altra riflessione riguarda sempre la macchina, questa volta dal punto di vista dell’affidabilità: nei prossimi giorni si proverà infatti a capire cos’è accaduto alla monoposto di Sainz, che sembrava ormai pronta a raggiungere agevolmente la seconda piazza. Certo, un motore che subisce un danno così grave, arrivando a incendiarsi, pone qualche interrogativo, al di là del problema della penalizzazione, che va a colpire proprio l’aspetto della durata del propulsore, considerato strategico dai regolamenti. Altro aspetto che abbiamo notato è il troppo tempo intercorso tra l’inizio dell’incendio e l’intervento dei commissari: nei nostri ricordi di gioventù, dove il fuoco era un elemento molto più presente nella gare automobilistiche, la reattività era decisamente maggiore. Forse, il progresso tecnico dei bolidi ha fatto passare in secondo piano questo rischio, che invece rimane, considerando che, nelle autovetture da competizione, sono presenti carburanti, liquidi infiammabili e temperature elevatissime del motore e di altre componenti meccaniche, tutti elementi in grado di chiudere il triangolo della combustione. Ci auguriamo sia stata solo una casualità: ma, per qualche istante interminabile, vedendo il fuoco propagarsi e il pilota che non usciva dall’abitacolo, ci siamo preoccupati non poco.
Per il resto, vedendo i grandi miglioramenti portati dal cosiddetto “Effetto suolo” sulle monoposto, compresi sorpassi mozzafiato, non possiamo che ricordare i favolosi anni ‘70, quando il genio di Colin Chapman introdusse in Formula 1 le famigerate “minigonne”, che cambiarono il volto delle corse. La genesi di questo espediente, che avrebbe cambiato forse per sempre le auto della Formula regina, sfocia nella leggenda.  Già da qualche anno, si era compreso il ruolo che poteva avere l’aria che transitava sotto le auto da corsa: tuttavia, quel flusso in depressione non riusciva a seguire fedelmente il profilo inferiore della vettura, dal momento che l’uscita laterale verso l’esterno dell’aria comprometteva la stabilità della medesima in curva. Secondo la vulgata, tramandata dagli ingegneri nei loro incontri, durante l’ennesima prova nella galleria del vento operata in Lotus (che aveva sede in una chiesa sconsacrata, per aumentare il mito), uno dei tecnici si avvicinò al modello in prova, con gli apparecchi ancora attivi. La bilancia misurò un incremento importante della deportanza. Dal momento che il modellino non era stato toccato, e neppure gli apparecchi di misura, Chapman intuì che la responsabilità del fatto fosse dovuta alla presenza di una cartellina rigida appoggiata da quel tecnico alla fiancata del modello, che aveva provocato una sorta di sigillo del fondo della vettura. La novità venne introdotta col modello 78, ma raggiunse il suo apice con la 79, che esordì in Belgio nel 1978, e resta nella memoria degli appassionati come una delle auto più belle che abbaino mai girato sui circuiti, oltre che per i risultati strepitosi. Tempo dopo, al termine del periodo di tentata ostruzione da parte degli altri team, spiazzati dall’innovazione tecnologica britannica, la soluzione venne generalizzata, per poi venire abolita nei primi anni ’80, dopo gli incidenti mortali che videro coinvolti Depailler, Villeneuve, Paletti e Pironi, il quale sopravvisse, ma con gravi lesioni. Oggi, dopo tanti anni, si vedono monoposto con il fondo ad ali rovesciate, a garantire l’effetto suolo. E Peter Wright, che con Chapman sviluppò questa idea, che oggi ha 76 anni, e non fa più parte del circus, sicuramente apprezzerà.