TESTIMONIANZA
"La mia lotta al Covid"
Toccante lettera di Umberto M., che racconta la sua drammatica esperienza
Pubblicato il 07.02.2021 15:16
di Angelo Lungo
Mi chiamo Umberto M. ho 51 anni, conducevo una vita normale, ho contratto il Covid, stavo per morire, ora sono rinato, sorrido lieve alla vita, e ne apprezzo ogni risvolto.
Il mio “incubo” è cominciato il 16 marzo del 2020, mi sentivo debole da alcuni giorni. Misuro la febbre, ma non mi fido. Mi reco dal mio medico, temperatura: 39,7, descrivo i sintomi, responso impietoso: hai il Covid. Rimango incredulo, tutto mi sembra strano, surreale, penso: allora esiste. Cerco di reagire, la lucidità comincia a venirmi meno, vengo trasferito al Moncucco. Mi sentivo mancare, tutto avveniva velocemente, stavo precipitando verso dove?, un nodo alla gola, senza mia moglie, senza mia figlia. Febbre alta, difficoltà a respirare, mai affrontata una situazione del genere, ora era l’ansia la mia “nuova” compagna, quella che ti attanaglia e ti soffoca. Stavo male, la gravità la capisco ora. Il 19 marzo decidono di intubarmi, quando me lo comunicano ero tra l’impotenza e la disperazione. Ero terrorizzato, morte ecco la parola che ha cominciato ad assillarmi, ma non volevo che finisse così. Mi sarei risvegliato? Sarei potuto ritornare a casa? La telefonata con mia moglie è drammatica, l’avrei rivista? Prima di essere intubato, assalito da un puro terrore, chiedo a un’infermiera di stringermi la mano, volevo calore, volevo affetto: quello che esclusivamente le donne sono capaci di dare. Mi risveglio dopo otto giorni, accolto dagli applausi dell’équipe, sono commosso. Riportato in camera intensiva, facevo fatica a parlare, tossivo, dolore intenso ai polmoni. Alternavo miglioramenti a peggioramenti. Ad aprile i dolori al petto sono insopportabili, atroci, i colpi di tosse delle stilettate. Diagnosi: acqua nei polmoni, embolia polmonare, sangue che non coagulava. Ma in cure intense non ero il solo a soffrire, ho visto scene incredibili, ero sconvolto, non ci credevo.
Mi trasferiscono al Cardiocentro e sono sottoposto a due interventi, successivamente sono stato messo al corrente, che a un certo punto, mi avevano dato due ore di vita.
Dopo le operazioni, drenaggi, tosse persistente, respirare era una tortura. E tuttavia comincio a migliorare, la mia giornata era letto e poltrona, camminare mi era impossibile. Ho capito che cos’è la solitudine, quella in cui si è con se stessi, e dove l’abisso sembra essere una condizione normale. Inizio maggio, una curante mi fa alzare, mi porta lentamente in bagno, non so ancora come ci sono riuscito. Ho messo le mani sotto l’acqua, una lacrima mi è venuta spontanea, ero di nuovo bambino, e ho potuto riassaporare la sensazione della freschezza. Passati due mesi, ricomincio a camminare e a fare le scale.
Vado a Novaggio per la riabilitazione, il 2 giugno rientro a casa.
È stato bellissimo, un’emozione incredibile, abbraccio mia moglie e mia figlia, sentimenti contrastanti, il brivido di stringere forte mia moglie e mia figlia, la paura di poterle contagiare.
La casa è serenità, sicurezza e normalità, ma quanti pianti liberatori, ora di gioia, ora di timori. Il primo di settembre ho ripreso a lavorare, difetto di concentrazione, ma sono di nuovo “abile”. Ho sofferto, e ho visto soffrire, mi sento rinato, ho davvero un’altra occasione. Ora vivo alla giornata, ogni mattina ringrazio di svegliami, e non voglio più dare per scontato niente.  Non sono un moralista, e non sono in grado di impartire lezioni, ma sono stato male e ho avuto il Covid. Ognuno, poi, può trarre le sue conclusioni. Ci tengo a formulare un “monumentale” grazie, ai dottori, alle infermiere ma anche agli addetti delle pulizie, il loro conforto, il loro supporto non lo dimenticherò mai, ecco cosa significa essere “umani”.