CICLISMO
Elogio del carro-scopa
Sempre in fondo alla carovana, ripulendo la strada che alle sue spalle torna vuota
Pubblicato il 20.07.2022 09:18
di Giorgio Genetelli
Qualcuno che rotola sul fondo c’è sempre, e arranca e si aggrappa, a sé stesso o all’idea annebbiata che gli rimane. Al Tour, nel ciclismo, che è impietoso come la vita, resiste iconico il carro-scopa, che inalbera una vera scopa di saggina. Attraversa le montagne, accarezza le campagne, questo mezzo che sembra un furgoncino da carpentieri di rientro dalla giornata, sempre in fondo alla carovana, ripulendo la strada che alle sue spalle torna vuota e le cicale riprendono a frinire. Invece è la pietas, ultima e spesso vana, per i respinti, i vomitanti, gli svuotati, i deboli, gli abbandonati. Il carro-scopa incita a resistere, lotta insieme a loro e a noi contro il tempo, quello massimo.
Ieri era Marc Soler, non proprio un cavedano, anzi, trattore da montagna catalano che sulle salite si impenna a trascinare i capitani o va all’avventura solitaria. Ma ieri di solitario e finale c’era solo il suo malessere che l’ha ricacciato in fondo alla corsa quando ancora mancavano cinquanta chilometri di terribile salita e ardita discesa, nei Pirenei appena abbozzati e già fatali. Un pellegrinaggio dei dolori con la sola compagnia del carro-scopa. Mentre il québécois Houle tagliava il traguardo con una faccia alla Bob de Niro per la sua prima vittoria in carriera, Soler era indietro di quasi un'ora e quando è giunto all’arrivo la gente lo applaudiva mentre smontavano gli striscioni. Fuori tempo massimo, fuori dal Tour, fuori di sé.
Ha pianto anche la scopa di saggina mentre la calavano dal furgoncino come un Cristo dalla croce che risorgerà però oggi per spingere qualche altro disperato alla deriva nel tempo e nello spazio.